Con la musica contro l’omofobia
Purtroppo di canzoni che parlano esplicitamente di omofobia ed omosessualità ce ne sono relativamente poche o, quantomeno, non sono tanto conosciute come dovrebbero (ne abbiamo raccolte due), a differenza invece delle serie televisive, dei film o dei video che trattano maggiormente questo argomento; ma la musica è uno dei mezzi di comunicazione più potenti che l’uomo abbia mai creato. Non solo è facile da comprendere ma ha anche la capacità di poter unire persone totalmente diverse sotto una stessa idea: nessuno deve aver paura di essere ciò che è, di esprimere quello che ha dentro e ognuno di noi deve aprirsi alle diversità, perché il male principale di questo mondo è la paura di ciò che è diverso dalla nostra personalissima idea di normalità.
Same Love
«I can’t change, even if I try, even if I wanted to», questo è il ritornello di una delle canzoni più famose di Macklemore, simbolo musicale della lotta contro l’omofobia la cui traduzione è «Non posso cambiare, neanche se ci provo, neanche se lo volessi». Già questa frase basta a rendere il concetto dell’intero brano (qui la traduzione della canzone).
Same Love è stata scritta per sostenere la legalizzazione dei matrimoni omosessuali ed in particolare è riferita al Washington Referendum 74 (R-74 o Ref 74), un referendum per approvare o abrogare la legge del febbraio 2012. Il cantante, nonostante sia etero, ha voluto dimostrare la propria solidarietà alla causa contro l’omofobia avendo vissuto sin da piccolo la relazione omosessuale dello zio, che ovviamente ha condizionato molto la sua posizione.
La canzone è diventata un simbolo per chi lotta ogni giorno per il proprio amore “sbagliato“, tant’è vero che anche la famosissima serie televisiva Glee ha interpretato la propria versione del brano in una puntata della sesta stagione dedicata ai transgender. Il cantante non si risparmia e dice le cose così come stanno. «I conservatori di estrema destra credono sia una decisione e che puoi essere curato con dei trattamenti o con la religione», come se l’amore fosse una malattia, come se provare dei sentimenti per un’altra persona sia qualcosa di grave tanto quanto un cancro o la schizofrenia.
Sarebbe fin troppo bello trovare semplicemente una cura, un rimedio a tutto ciò che noi crediamo sia sbagliato, usando magari una bacchetta magica o un elisir per cambiare quello che non ci sta bene. Sarebbe tutto decisamente più facile così, si fa sicuramente prima, invece di accettare la diversità dell’altro, ad affermare che essa sia una cosa anomala e che si debba combattere e porvi rimedio. Purtroppo però, cari sognatori, il mondo non gira esattamente così.
E ancora Macklemore canta «Some would rather die than be who they are»: alcuni preferirebbero morire piuttosto che essere ciò che sono? Sì, perchè i pregiudizi, le discriminazioni e le minacce contro cui ogni giorno queste persone devono combattere sono insistenti e deterioranti. Ma ora una domanda è lecita: è giusto soffrire tanto per essere se stessi? Sentirsi sbagliati, diversi, fuori dal mondo, in un secolo in cui tutti affermano di essere aperti ad accogliere le diversità? Ancora in tanti, troppi, sono costretti a nascondere ciò che sono, magari vivendo tutta una vita nella paura della discriminazione, reprimendo sentimenti profondi che germinano nel cuore di ogni essere umano naturalmente, che piaccia o meno.
Take me to church
Altro successo musicale trattante il tema dell’omofobia è il recente video del cantante irlandese Hozier Take me to church (apparso anche nella nostra classifica di ITunes il mese scorso), nel quale vengono mostrate, come in un breve cortometraggio in bianco e nero, le difficoltà che due uomini che si amano sono costretti ad affrontare nel quotidiano, tra sguardi indiscreti ed atti vandalici, fino ad arrivare all’estrema violenza fisica.
Il cantante ha voluto far sentire la sua voce sul tema incentrando il video sulla repressione fisica e psicologia che degli estremisti russi esercitano su questa coppia campione, presa come modello per impersonare i dolori che un omosessuale è costretto a patire a causa della propria natura.
Daniela Diodato