Neorealismo ha significato per molto tempo intendere la letteratura come impegno, compito, educazione. Questa è forse la radice ultima di questo movimento o tendenza. Neorealismo è il più delle volte un’etichetta o troppo larga o troppo stretta.
Appare troppo larga per comprendere le svariate sfaccettature di questo movimento, a tratti anche contrastanti; sembra invece troppo stretta per comprendere un fenomeno di vasta portata che affonda le sue radici negli anni ’30 ed ha come termine una data di difficilissima collocazione. Il Neorealismo è stato in realtà una tendenza in letteratura frutto di una fortunata e irripetibile combinazione di temi, di riflessioni, di sentimento del tempo.
Scrive infatti Calvino nella prefazione di Il sentiero dei nidi di ragno: “Più che come un’opera mia la leggo come un libro nato anonimamente nel clima generale di un’epoca”. Possiamo a buon diritto ascrivere nella generica categoria di Neorealismo una vasta gamma di scrittori che l’ hanno vissuto come un momento della loro produzione letteraria: tra questi Calvino, Pavese, Vittorini, Pratolini, Carlo Levi, Jovine e molti altri.
Alle radici del neorealismo
Ha scritto lo studioso Luperini:
Il neorealismo si sviluppa dapprima come “movimento spontaneo e caotico, un regolato da indirizzi precisi e fortemente suggestionato dalla letteratura clandestina”.
Il termine Neorealismo cominciò infatti a circolare nell’ambito cinematografico a partire da Ossessione di Luchino Visconti, fino ad essere applicato ad una letteratura che proponeva tra le sue poche prerogative una rappresentazione della realtà, anche nelle sue forme più crude e più schiette; attenzione al mondo popolare; un’ideologia politica grossolanamente (ma non banalmente) progressista, antifascista basata su una tendenza umanitaristica.
Questa esigenza di narrare la realtà nasce principalmente da alcuni fattori storici e culturali. Ogni scrittore avverte, come ogni cittadino italiano, l’esigenza di ricostruire insieme alle macerie materiali della Nazione, la coscienza di un’intero popolo devastata dalla guerra, dalla propaganda fascista, dalla miseria. È forse questo il fattore storico di fondo più importante.
Un altro fattore storico-culturale era senza dubbio costituito dall’organizzazione della cultura operata dai partiti di sinistra, tra questi il PCI, che in quegli anni accoglieva la nozione di realismo socialista di Zdanov, dell’ortodossia stalinista, e la scoperta degli scritti letterari di Antonio Gramsci che molto hanno discusso dei rapporti tra letteratura, realtà e mondo popolare. Non ultimo, la militanza nella Resistenza partigiana spesso anche in prima persona degli intellettuali di questo tempo.
I fattori più squisitamente letterari erano senza dubbio la riscoperta di Verga e di tutta la tradizione verista italiana, la passione di Pavese e Vittorini per la letteratura americana (passione che negli anni del fascismo si caratterizzava anche come potenziale di dissenso nei confronti del regime). Da aggiungere a questi fattori è l’interesse per il popolare sviluppatosi anche già nell’ambito di un certo fascismo di sinistra tentato da Vittorini e Pratolini.
Andava infine consolidandosi quel processo culturale chiamato da molti ritorno a De Sanctis: spazzare via la prosa d’arte, la torre d’avorio della letteratura, la concezione raffinata ed aristocratica della cultura, fare della letteratura uno strumento di demistificazione in contrapposizione alla falsità della propaganda fascista, proporre immagini plastiche e nitide, in contrapposizione alle maestose e grossolane immagini del potere.
La parola agli autori
Le definizioni di neorealismo le possiamo comprendere in maniera più soddisfacente attraverso le parole degli scrittori stessi in questo momento di tensione politica e culturale
Scriveva Vittorini sul primo numero del Politecnico:
Di chi è la sconfitta di tutto questo che è accaduto? Vi era bene qualcosa che attraverso i secoli, ci aveva insegnato a considerare sacra l’esistenza dei bambini. Anche di ogni conquista civile dell’uomo ci aveva insegnato che era sacra; lo stesso del pane; lo stesso del lavoro. E se ora milioni di bambini sono stati uccisi, se tanto che era sacro è stato lo stesso colpito e distrutto, la sconfitta è innanzitutto di questa cosa che ci insegnava la inviolabilità loro. Questa “cosa”, voglio dirlo subito, non è altro che la “cultura””
Pavese invece, scrive similmente nello stesso anno sull’Unità:
Parlare. Le parole sono il nostro mestiere […] sentiamo tutti di vivere in un tempo in cui bisogna riportare le parole alla solida e nuda nettezza di quando l’uomo le creava per servirsene.[…] Il nostro compito è difficile ma vivo. E’ il solo che abbia un senso e una speranza.”
Possiamo dunque ritenere che il Neorealismo sia stato molte cose e poche cose al tempo stesso, sia stato il sogno di una società più giusta, più umana, sempre sperato e mai pienamente realizzato.
Luca Di Lello