Prendete Hervé Falciani, ingegnere informatico monegasco, e una filiale svizzera del colosso bancario HSBC. Potrebbe benissimo uscirne un’interessante conferenza sullo stato di salute delle Borse europee, o sui vantaggi di investire in Cina; un po’ meno probabile è giungere, con questi presupposti, ad una spy story internazionale degna del miglior Le Carré, che coinvolge la presidente del FMI Christine Lagarde, decine di governi e migliaia di persone di spicco in tutto il mondo uniti da un piccolo scheletro nell’armadio: l’evasione fiscale.
Al di là dei futuri sviluppi del caso “Swissleaks“, più interessante è scoprire la genesi di questo fenomeno: collegata, ovviamente, ai vantaggi finanziari che offrono i cosiddetti paradisi fiscali.
Ma cosa si intende per paradisi fiscali?
Dare una definizione non è affatto semplice, perché non è facile definire il concetto di agevolazione fiscale: uno Stato può anche presentare una situazione “ibrida”, con solo alcuni caratteri tipici dei paradisi fiscali.
In breve, un paradiso fiscale tout court è uno Stato che intenzionalmente favorisce operazioni finanziarie di soggetti non residenti nel proprio territorio attraverso la garanzia dell’anonimato, una regolamentazione praticamente assente e un carico fiscale nullo o quasi.
Le origini e l’impatto sui moderni mercati
Nel nostro immaginario (e in quello degli americani, a giudicare dai film) i paradisi fiscali per antonomasia sono isolette dai nomi esotici dei Caraibi o del Pacifico – Bermuda, Cayman, Marshall, Samoa…l’elenco è lungo. Eppure i primi paradisi fiscali nacquero proprio negli Stati Uniti: in particolare negli Stati del New Jersey e Delaware, che si inventarono la creazione semplificata di società (ovvero il poter acquistare una società con presidente, amministratore delegato, e CDA già “pronti” per iniziare un’attività economica): un must anche per i moderni paradisi fiscali.
La pratica fu importata in Europa dalla Svizzera e dal Liechtenstein (e chi altrimenti?) e si diffuse rapidamente. Tanto che oggi si stima ne esistano, a seconda dei parametri utilizzati, tra i 60 e i 100 in tutto il mondo.
Questo tipo di politica è diventato un vero e proprio modello di sviluppo statuale, e il fatto che sia attuato da Stati indipendenti e sovrani rende difficile da parte dei Paesi sviluppati arginare il fenomeno della fuga dei capitali (se non con accordi bilaterali con i singoli paradisi fiscali, in sede OCSE, o soprattutto in sede UE, ma senza grandi risultati), nonostante tenda a crescere sempre più: nel 2007 si calcola siano stati elusi al fisco tra gli 800 e i 3000 miliardi di dollari, e questo non fa che aumentare la distorsione nei flussi di commerci e la fiducia dei contribuenti sull’integrità dei sistemi fiscali.
Minando così una delle basi della democrazia.
Claudio Urciuolo