La primavera araba: una definizione
In arabo con “primavera araba” ( الربيع العربي al-Rabiae al-ʻArabiyy; letteralmente ribellioni arabe o rivoluzioni arabe) si intende un termine utilizzato dai media occidentali per indicare quella serie di sommosse la cui origine temporale è da collocarsi tra la fine dell’anno 2010 e l’inizio di quello successivo. Ad essere coinvolti in questa concatenazione sono la maggior parte dei paesi mediorientali, tra cui la Libia, l’Egitto, lo Yemen e appunto la Siria. Tali conflitti, inoltre, depongono le loro cause all’interno di una necessità, ovvero quella di combattere la forma dittatoriale.
La Siria: analisi del conflitto
Inserita nel più ampio contesto della primavera araba, quello siriano è un aspro conflitto che ha visto il suo intramontabile inizio il 15 Marzo 2011, a seguito di numerose dimostrazioni pubbliche, per poi vedersi mutare in guerra civile il successivo anno.
L’asse portante del conflitto richiede la deposizione dell’attuale dittatore Bashar al Assad, la cui famiglia governa la Siria dal 1971. La necessità di questo atto deriva dalla forte esigenza del popolo di trasformare l’asse politico del territorio, indirizzandolo verso una democratizzazione. Opposta è la ragione del governo, nel quale sono insediati gruppi che puntano invece ad una radicalizzazione dei principi islamici, come ad esempio i “Fratelli Musulmani” (gruppo di attivisti dichiarati fuorilegge per le azioni terroristiche di repressione) e la già conosciuta e rinomata al-Qa’ida.
La Siria è sotto stato di emergenza dal 1962, il che di fatto sospendeva la maggior parte dei diritti costituzionali dei cittadini siriani. Il Governo siriano ha da sempre giustificato questo fatto sottolineando che la Siria è in stato di guerra con Israele. Come è successo con Bashar al-Assad, i cittadini siriani approvano il Presidente tramite referendum ma la Siria non prevede elezioni multi-partitiche per la propria legislatura.
Dal 1963, in seguito a un colpo di Stato ba’thista, la Siria è controllata dal partito laico del Ba’th. Nonostante i cambi di potere interni, a causa di colpi di stato, il partito del Ba’th è rimasto l’unica autorità in Siria. Dopo la rivoluzione del 1970, il presidente Hafiz al-Asad ha guidato la Siria per circa 30 anni, censurando qualsiasi partito politico di opposizione e qualsiasi candidato. Nel 1982, all’apice di un’insurrezione islamica, Hafiz al-Asad ha condotto una politica di terra bruciata contro la città di Hama per reprimere la rivolta della comunità musulmana sunnita, che includeva anche i Fratelli Musulmani e altre organizzazioni.
La notizia della successione del potere tra padre e figlio diede inizio alle manifestazioni di Latakia del 1999, dove si ebbero proteste violente e scontri armati, a seguito delle elezioni per l’Assemblea Popolare (il Parlamento monocamerale siriano). A scatenare gli incidenti fu una faida, che covava da lungo termine, tra Hafiz al-Asad e suo fratello minore Rifaʿat. Furono uccise due persone negli scontri a fuoco tra polizia siriana e sostenitori di Rifaʿat. Fonti dell’opposizione invece, negate dal governo, dicono che ci furono centinaia di morti e feriti.
Hafiz al-Asad, gravemente malato, morì il successivo anno. Gli succedette Bashar al-Asad, nominato dopo che un emendamento costituzionale permise di abbassare da 40 a 34 anni l’età minima per essere eletti presidente. Bashar venne definito “ispiratore di speranza” per le riforme e la “Primavera di Damasco” la quale ebbe inizio nel gennaio 2000 con intensi dibattiti sociali e politici.
Il combattimento, ancora in corso, ha causato ad oggi la morte di oltre 210mila persone, e a questo tragico dato vanno aggiunta la distruzione del patrimonio paesaggistico, archeologico e culturale del Paese.
Seppur non etichettato come “internazionale”, ha comunque assunto tali fattezze, dal momento che sono coinvolte grandi potenze, tra cui USA, Cina e Russia. Il Paese governato da Vladimir Putin rappresenta uno dei principali partner della Siria, difatti lo scorso 5 Settembre v’è stato un ingente dispiegamento di forze dirette verso l’area mediorientale. L’apporto fornito da queste forze rispecchia uno schieramento preciso, simile a quello della I o II guerra mondiale, in maniera meno ufficiosa.
Il punto focale è il Medio Oriente, in generale, da cui si snodano i sostenitori della pace ovvero i paesi occidentali, e i suoi relativi affossatori che leggono la questione in chiave anti-americana, quindi Cina e Russia per l’appunto. L’Italia, previa discussione con l’Onu, deciderà se entrare o meno nel merito della questione.
Dall’analisi geo-politica del conflitto, non si ritiene che la Siria approderà in tempi vicini ad un vincolo di pace.
Fabrizio Consiglio