Il viaggio nella Napoli nascosta e sconosciuta potrebbe continuare per decine di articoli, diventare una rubrica o un libro, ma il buio che circonda alcuni luoghi di Parthenope non sempre è dovuto all’incuria degli amministratori o all’ignoranza dei propri cittadini. Questa città può sorprendere in ogni momento svelando d’improvviso ciò che nasconde anche volontariamente, quasi fosse gelosa o per cautela. È questo il caso dei sotterranei della Certosa di San Martino.
La storia della Certosa di San Martino
Voluta da Carlo duca di Calabria d’Angiò, figlio di Roberto I re di Napoli, la Certosa di San Martino fu costruita nel primo trentennio del XIV secolo e stagliandosi sulla collina del Vomero dominando dall’alto la città antica. La realizzazione fu affidata ai migliori artisti che erano nella cerchia angioina, difatti Roberto, sin dall’inizio del suo regno, (1309) nutrì la sua fama di mecenate donando alla capitale tra le opere d’arte migliori del secolo.
Insomma Napoli, fino alla morte del sovrano avvenuta nel 1343, è stata il centro artistico europeo ospitando fra gli altri Giotto, Francesco Petrarca, Tino di Camaino.
Proprio quest’ultimo, architetto (magister) e scultore tra i più degni di nota del medioevo, fu uno dei realizzatori del monastero certosino, dedicato alla figura di San Martino di Tours e completato con la realizzazione della chiesa consacrata dalla nuova regina Giovanna I d’Angiò.
È proprio la chiesa che, grazie alla campagna di barocchizzazione che investì la città dal XVI al XVIII secolo e da cui essa non fu esente, è divenuta il simbolo del barocco napoletano. Questa struttura, infatti, vide in azione il geniale turbinio artistico di Cosimo Fanzago, Jusepe de Ribera, Battistello Caracciolo, Luca Giordano, Francesco Solimena che ci hanno consegnato un pezzo distintivo dell’arte moderna.
Ebbene al di sotto di questa struttura, che ha risentito di tutte le età artistiche della città, qualcosa di tipicamente medievale rimane ancora custodito gelosamente; questi sono, appunto, i sotterranei della Certosa di San Martino che ancora portano evidenti i segni originali dell’architettura medievale del XIV secolo. Oltre al senese Tino di Camaino, lavorarono Francesco de Vito e Mazzeo di Malotto entrambi napoletani che oltre ad edificare il monastero superiore, realizzarono le sue fondamenta impostandole come amplissimi ambienti.
Una sequenza di archi con volte ad ogiva, che arrivano a toccare i 15 metri di altezza e ricordano le più famose architetture chiesatiche dell’epoca, si alternano a possenti pilastri squadrati che danno ai lunghi corridoi la ritmicità tipica delle grandi strutture di epoca romana.
I sotterranei della Certosa di San Martino come viaggio nel tempo
Difficile dire con certezza l’uso che, oltre di sostegno, avessero questi spazi così imponenti; facile è fare il parallelo con i tanti cunicoli sotterranei che bucano il tufo su cui si poggia Napoli e che fungevano dapprima da cisterne d’acqua, poi da abitazioni e rifugi antiaerei durante la II° guerra mondiale, sino ad arrivare ad essere vere e proprie discariche di rifiuti urbani.
È di certo possibile pensare i sotterranei della Certosa di San Martino come luogo di ricovero o fuga durante la stessa epoca angioina o la repubblica napoletana del 1799, allorché il popolo e poi i repubblicani presero il vicino Castel Sant’Elmo, ma non abbiamo alcuna sicurezza sul loro effettivo utilizzo.
Chiaro è, al contrario, l’impiego il MiBACT, con la reggenza del Polo Museale di Napoli, ha ideato per questo sito rendendolo un museo, completando quel progetto di musealizzazione della Certosa iniziato alla fine dell’800.
Singolare è il viaggio che il visitatore si trova ad intraprendere scendendo nei meandri della Certosa di San Martino; le opere presenti vanno dal periodo romano con una vasca del I-II secolo reimpiegata come sarcofago, alla più classica scultura trecentesca con una figura di donna giacente dai fini lineamenti riconducibile a Tino di Camaino o alla sua bottega.
Si continua con un interessante lastra scultorea del XV secolo con due figure interpretate come padre e figlia, del ‘500 è una Madonna col Bambino di matrice raffaellesca, fino ad arrivare ad opere del ‘700 con un San Francesco d’Assisi di Giuseppe Sanmartino (autore del Cristo velato della cappella Sansevero) e di una “figura velata” (Modestia?) di Angelo Viva, allievo del Sanmartino.
Infine, alle pareti tra gli imponenti pilastri, è distribuita una variegata collezione di iscrizioni su lastre di pietra che, tra le loro righe, fanno viaggiare nei secoli di storia di Napoli raccontandone la sua storia.
Liberato Schettino