Ieri mattina seconda e ultima replica per Chichibio, la gru e altre storie al Teatro dei Piccoli di Fuorigrotta. Per il pubblico dei bambini un successo indiscutibile: trattato talentuosamente, l’intreccio risulta, pur se essenziale, vincente per la chirurgica cura nei passaggi e per la straordinaria vitalità che rivela la tecnica di intarsiare storie nella storia.
Chichibio, la gru e altre storie: una sinossi
Chichibio, si sa, per amore ha fatto una sciocchezza: avendo tentato di far credere al padrone che le gru sono «monopede singolale» per davvero e che non è che lui ha tranciato una coscia a quella che era da servirsi per cena, per donarla alla sua amata, se la cava con il motto giusto al momento giusto. Quando però il padrone − impersonato da uno dei tre musici sul palco, Giorgio Pinai − diventa più arguto del suo gemello boccacciano, quello non se la beve e le fustigate a scortico, a Chichibio, non gliele toglie nessuno: a meno che quello non si picchi di cercare tre racconti di saggezza − che poi diventano quattro a mo’ di bis − che sollazzino gli ospiti del suo Signore − i restanti Luca D’Amore e Fabrizio Lepri a comporre i Tre Leccardi − e tutta la corte − che sareste voi. Agli spettatori andrà poi la sentenza sul condono a Chichibio delle fustigate. Così Chichibio e la gru diventa Chichibio, la gru e altre storie, un po’ a Le mille e una notte. Chichibio, la gru e altre storie
Con un Chichibio così talentuoso, non c’è niente da temere: Mirko Revoyera domina i suoi piccoli − e vivaci − spettatori con una bravura incantevole, nel suo essere giullaresca, e tremendamente divertente. D’altri tempi il suo modo sapiente di architettare la drammaturgia, la sua arte di concedersi gli ammiccamenti giusti e di sostenere i ritmi della narrazione. Bravura tanto profonda e arguta da riscuotere successo presso un pubblico, in effetti, di ogni età. È tale l’impressione di assistere a qualcosa che, in giro, non si trova più tanto, da convincersi definitivamente che, aldilà di ogni destinazione specifica, il contenuto della messinscena prodotta dall’associazione ASSIEMI possa decisamente persuadere ogni tipo di pubblico − come accade spesso al Teatro dei Piccoli. Chichibio, la gru e altre storie Chichibio, la gru e altre storie
Questo è tanto più vero se a commentare la narrazione interviene la musica bassomedievale di attori e di saltimbanchi girovaghi − tra i saltarelli e le rotte di Tristano − interpretata per mezzo di accurate ricostruzioni di strumenti d’epoca. L’inserto non è mai banale e contribuisce a determinare la giusta atmosfera. Nonostante che sia presentato come corollario da caratteristiche didascalie in italiano di corte, tuttavia il commento musicale ha un’identità sua propria che lo eleva ben al di sopra di un mero effetto coloristico, nonostante che la − povera − pubblicità che circola su Chichibio, la gru e altre storie lo definisca folkloristico.
Anche noi de La COOLtura eravamo stati tratti in imboscata nell’articolo di anteprima, salvo che poi, verificando di persona, abbiamo scoperto una realtà delle cose ben diversa. Luca D’Amore, che ha suonato il liuto e il tamburo, è liutista di ottima scuola; Fabrizio Lepri, viellista, ha all’attivo una lunga carriera, come studioso e come esecutore per viola da gamba, che lo ha visto particolarmente presente in Belgio e in Italia; Giorgio Pinai, che ha eseguito su flauti di varia fattura, tamburo, bombarda, cornamusa e ceccola, dopo una carriera poliedrica a livello europeo − e persino una militanza tra le fila della neoavanguardia italiana − è oggi devoto alla ricerca e alla filologia delle arti e delle tecniche strumentali antiche, con particolare riguardo all’enorme mondo degli strumenti di quelle epoche.
L’intervento di studiosi di questo tipo si rende più che mai necessario a riabilitare la storia e la dignità di quell’immenso patrimonio musicale. I più sono infatti convinti che si debba relegare, tra tutti, bombarde, ciaramelle e zampogne al mondo arcadico − ma povero e incólto − dei pastori e dei girovaghi: non molti sanno che ben altra dignità hanno questi strumenti, se è vero che, sotto varie forme, cornamuse e zampogne hanno percorso la storia europea, da Nerone, che si dilettava di utriculus, fino a Mersenne, che dedica una vasta ed entusiastica sezione agli aerofoni a serbatoio nel suo portentoso Traité de l’harmonie universelle; arrivando − purtroppo o per fortuna? − alla carriera religiosa avviata per Sant’Alfonso Maria de’ Liguori. Chi può credere che non fossero raffinatissimi, oltre che nella materia, anche nella forma gli strumenti di cui amava circondarsi Lorenzo il Magnifico? E chi può sostenere che fossero fiacchi oboi troppo cresciuti le bombarde il cui suono, dall’alto della torre di Piazza del Campo, invadeva Siena in adunanza?
Di fronte a una tale pregnanza culturale ci si rende facilmente conto che Chichibio, la gru e altre storie, oltre a costituire un intrattenimento formidabile per l’infanzia, si porta dietro tanta cultura e tanta bontà alla portata degli adulti: senza aggiungere poi che, in fondo, bambini lo siamo stati un po’ tutti e che a nessuno, raccontata così bene, dispiacerebbe qualche novella, ogni tanto. Speriamo di ritrovarlo presto!
Antonio Somma