La Flagellazione di Cristo del Caravaggio fu commissionato da Tommaso De Franchis, il quale proveniva da una importante famiglia di magistrati ed era, inoltre, presidente della Regia Camera della Sommaria. Quest’ultimo era il fratello di Lorenzo De Franchis, avvocato fiscale e deputato del Pio Monte della Misericordia.
Per questa chiesa, Caravaggio aveva già eseguito nel 1607 Le Sette Opere di misericordia e fu di sicuro Lorenzo De Franchis a suggerire al fratello Tommaso di rivolgersi allo stesso pittore per la realizzazione di un pala d’altare che doveva essere posizionata all’interno della cappella di famiglia in san Domenico Maggiore.
In un primo momento la tela fu sistemata sull’altare della cappella di famiglia che era collegata alla chiesa di san Domenico Maggiore, ma in realtà fuori dalla struttura architettonica. Nel 1632 i De Franchis comprarono la cappella Spinelli all’interno della chiesa domenicana, in questo modo poterono unificare le due cappelle (oggi è la prima cappella della navata sinistra della chiesa) e per poi posizionare qui la Flagellazione di Cristo del Caravaggio nel 1652.
Dal 1972 l’opera è esposta al secondo piano, nella sala 78, del Museo Nazionale di Capodimonte.
La ricerca luministica
All’interno della Flagellazione di Cristo, realizzata nel 1609 dal Caravaggio, si riscontra un approfondimento della ricerca luministica: la luce, infatti, colpisce in pieno il corpo di Cristo illuminando solo in parte gli altri personaggi, mentre tutto il resto rimane nell’ombra. Risultato di pentimenti e di aggiunte al progetto iniziale, la scena è costruita sulla drammatica contrapposizione della vittima e dei suoi carnefici.
L’inconfondibile gioco di luci taglienti e di ombre profonde sottolinea la brutalità dei gesti che si accaniscono sul corpo di cristo, in un articolato intreccio di gambe e braccia che sintetizza la percezione del dolore umano e della rassegnazione. La drammatica verità è data dall’effetto procurato dai legacci che stringono il braccio del Cristo e la mano destra del flagellatore che si arrossa sotto la stretta.
Analisi della Flagellazione di Cristo
Al centro della composizione c’è la figura di Gesù, legato a una colonna. Il corpo di Cristo è bellissimo, rischiarato dalla luce, anatomicamente perfetto, in torsione; il corpo muscoloso contrasta col volto rassegnato e dolente, malinconico; la barba è stesa con pennellate grasse e vigorose; le gocce di sangue sono colore puro. Gesù è circondato da tre aguzzini, che sembrano scaricatori del porto.
Il flagellatore di destra, dal corpo possente, illuminato solo in parte dalla luce intensissima che si propaga dal corpo di Gesù, fa perno sulla gamba destra (saldamente appoggiata a terra) mentre con la gamba sinistra sferra un calcio su un polpaccio di Cristo e col braccio sinistro sta legando le mani del prigioniero dietro la schiena; il volto è intento all’operazione, lo sguardo è concentrato, la luce brilla sulla sua testa calva.
L’aguzzino di sinistra, dal corpo più minuto con la bocca aperta che sembra stia gridando, impugna nella mano destra il flagello mentre con la sinistra stringe e tira i capelli di Gesù, la cui testa (contrariamente al racconto evangelico) è già incoronata di spine; la parte inferiore del corpo di quest’uomo affonda nel buio.
Nel buio si profila anche la figura del terzo torturatore, piegato, che sta radunando da terra le verghe probabilmente per usare un’altra frusta; si intravede la testa riccioluta mentre è in piena luce il braccio sinistro nella sua interezza e nella penombra parte della coscia sinistra, la gamba e la mano destra.
Il torso illuminato di Cristo sembra fluttuare in un movimento danzante di memoria manierista, in totale contrasto coi movimenti bloccati nello sforzo dei torturatori.
L’immagine coglie l’attimo che precede il culmine del dramma, quando il corpo di Cristo cede spossato alla forza bruta dei due carnefici che lo stanno legando. Dominano il vuoto e la penombra. I panneggi, realizzati con pennellate lunghe e sintetiche, sembrano ispirati da esempi della scultura classica romana.
Caravaggio dipinge un Cristo una fisicità atletica che però è mortificata dall’atteggiamento di umiltà del capo reclino e delle gambe leggermente piegate, a indicare l’atteggiamento psicologico e spirituale di volontaria sottomissione alla Passione.
Gesù è immerso nell’atmosfera buia, interrotta solo dall’intenso bagliore della luce riverberata sulla sua figura. L’immagine torturata sembra così emergere dal buio favorendo la concentrazione e la commozione del fedele inginocchiato e in preghiera.
La composizione è severamente geometrica: la calcolata rispondenza delle figure esprime calma pur nella tragedia della fustigazione. Il dolore non esplode in modo violento; è dominato, è contenuto, e perciò è tanto più intenso, sentito e comunicato allo spettatore.
La salda impostazione compositiva esemplificata sulle diagonali dei flagellatori e l’interpretazione del fatto in un’atmosfera di quieta immobilità dimostrano che l’essenza del tema è proprio nell’espressione di intima accettazione della sofferenza da parte di Gesù.
Anna Cuomo