Venerdì 24 aprile 2015, ore 22:00. Un centinaio di persone, specialmente giovani, affolla l’ingresso del Cellar Theory, sito in Vico Acitillo, nel quartiere Vomero di Napoli. La serata è temperata e il luogo non caotico, di quelli in cui poter chiacchierare in tranquillità sui divanetti; luci soffuse e un bel caldo avvolgente (forse fin troppo caldo), a dispetto di quello che si dice generalmente delle cantine. Insomma, l’ideale per inaugurare il week-end sorseggiando una bionda in compagnia. A tutto questo, come se non bastasse, si aggiunga anche un reading di poesia di Guido Catalano, per quella che è finora l’unica data napoletana dell’anno in corso per il quarantaquattrenne poeta torinese, capace di richiamare un pubblico abbastanza folto.
A serata conclusa, l’esperimento si è potuto definire perfettamente riuscito. Si è trattato, infatti, di un’iniziativa inusuale per il Cellar, locale che si era finora occupato esclusivamente di musica, in particolare dal vivo e rigorosamente inedita, specialmente di quella suonata da valide proposte emergenti, italiane ed estere.
Cellar Theory, una cantina tutt’altro che ammuffita…
Il Cellar Theory nasce quasi dieci anni fa, nel 2007. Inizialmente sito in uno scantinato di Via Bonito (sempre Vomero), era inizialmente una sala prove. L’infaticabile energia di Luciano Labrano, proprietario storico della struttura, lo ha condotto, poi, a diventare molto altro e molto di più. Su consiglio di amici, si lasciò convincere ad ospitare un concerto, giusto per provare.
Il successo di quella prima iniziativa spinse a seguitare in quella direzione, scelta che ad anni di distanza può dirsi assolutamente vincente. Il Cellar è attualmente, infatti, una delle pochissime realtà vomeresi che prende la musica con la serietà e la passione che merita, per mezzo di un fittissimo calendario di eventi che concilia perfettamente quantità a qualità.
Il suo nome, “Teoria della cantina“, vuole evocare l’ideologia musicale tipicamente anni ’70, in cui le giovani band si riunivano negli scantinati. E proprio lì nascevano le cose migliori, le più sperimentali, purtroppo anche le meno note, lontane dai circuiti mainstream e che privilegiassero, dunque, la libertà creativa.
Sala prove, sala concerti, sala incisione e da adesso in poi anche sala per letture pubbliche…
Guido Catalano, Luca Gallotti e la poesia prosastica
Il primo poeta in assoluto a calcare il palco del Cellar Theory e ad inaugurare il reading di ieri è stato Luca Gallotti, cui è stato affidato l’onore ed onere (per la difficoltà del compito) di precedere Guido Catalano, scaldando il pubblico e dando inizio alla catarsi.
Napoletano, classe ’92 e laureando in lettere moderne all’università Federico II di Napoli (con una tesi proprio sul collega Guido Catalano), ha all’attivo un’opera di inediti, Poesie da bere, pubblicata per la In Form of Art Press nel novembre 2012.
Visibilmente emozionato ma accolto da un pubblico caloroso ed attento, ha letto una decina di testi, prevalentemente d’amore, inediti, che andranno probabilmente a formare un’opera seconda.
I suoi versi non sono poesie canoniche, classiche, nel senso che, durante la recitazione, non seguono metro né ritmo. Sono, più che altro, prose messe in verso, come certa poesia americana di fine novecento (Bukowski, Carver), che trovano il loro punto di forza in un linguaggio colorito, vivo, colloquiale, che punti sull’ironia e riproduca il parlato di dialoghi reali o immaginari con un’interlocutrice quasi assente. Una poesia che non cerca astrazione, trascendenza, ma che sia piuttosto mimesi del reale e della quotidianità e che abbia dunque come oggetto le piccole cose, in cui tutti possano rispecchiarsi.
Arriva poi il turno di Guido Catalano, che intrattiene il pubblico strappando molti sorrisi, se non addirittura risate. Recita in maniera molto teatrale, con un’erre moscia che lo rende immediatamente riconoscibile.
Anche nel suo caso e nelle sue sei raccolte, di poesia c’è molto poco. Suo argomento privilegiato è l’amore, specialmente quelli finiti male, descritti e raccontati, però, non in maniera sofferente bensì con una forte dose di autoironia, che ne stempera la tragicità e aiuta a riflettere sui piccoli difetti e vizi di ognuno di noi. Anch’egli fa uso di tanti dialoghi, anche a due voci, spesso assurdi o paradossali.
Si definisce un “poeta penale“, in opposizione ai poeti civili che cantano di vicende legate al sociale. Lo si apprezza per la spontaneità, per la genuinità e per il fatto di essere umile e disponibile, senza la volontà di costruirsi un personaggio da idolatrare.
Apparso più volte in trasmissioni Rai, è impegnato in circa 150 reading all’anno.
Roberto Guardi