Dopo aver dominato il botteghino francese lo scorso anno, arriva nei cinema italiani La famiglia Bèlier, una commedia sentimentale di Eric Lartigau ambientata in una piccola campagna in Normandia. I Bèlier sono una famiglia composta interamente da sordomuti, fatta eccezione per la figlia maggiore, Paula, sulla quale ricadono tutti gli oneri della piccola azienda agricola gestita dal padre. I genitori conducono apparentemente una vita normale, superando con naturalezza il loro handicap fisico, a tal punto che il padre stesso decide di candidarsi come sindaco della città al posto dell’approfittatore di turno. La famiglia è legata da un amore fortissimo e da un grande senso di solidarietà, e perfino il figlio minore sembra vivere tranquillamente la sua condizione di non udente.
Ma, in realtà, tutta la famiglia grava sulle spalle della figlia sedicenne, ormai troppo occupata a svolgere il lavoro di intermediaria tra l’azienda agricola e fornitori, banche, mercati o clienti per godersi una normale vita da adolescente. Il che crea una serie di situazioni esilaranti, a partire dal rumoroso clacson suonato a ripetizione dal padre e dai rumori di una colazione che diventano una vera e propria sinfonia di fastidio per chi i rumori può sentirli, a un’imbarazzante visita ginecologica in cui i genitori devono parlare attraverso la figlia dei propri problemi venerei dati dalla loro vita sessuale iperattiva. Un umorismo spontaneo, mai cattivo o discriminatorio, di chi vive la propria condizione limitante nella maniera più naturale possibile. Naturale a tal punto che Paula sembra quella diversa, che adorano e ammirano dopo aver superato il dolore iniziale nello scoprire che era in grado di sentire, reazione normale per due genitori non udenti.
Ma il vero fulcro della storia viene fuori quando tutte le attenzioni sono concentrate proprio su di lei, sulla sua voglia di crescere e sullo sforzo emotivo che tenta di fare ogni giorno nel far coincidere due mondi all’apparenza inconciliabili. Infatti all’insoddisfazione ben sopportata dall’amore che la lega alla famiglia si aggiunge un ulteriore problema: la figlia udente di genitori sordi non solo parla, ma è anche un’ottima cantante, tanto che il suo maestro di canto la spinge a studiare questa disciplina a Parigi.
In questa commedia si sorride, si ride e ci si commuove in modo disordinato, creando un misto di emozioni che non fa che essere assolutamente veritiero. Perché, dopo aver risposto a tutte le esigenze della commedia, l’apparato comico cade per lasciare spazio a quello emotivo: quello che prima appariva come qualcosa di divertente adesso è un travaglio emotivo che nella fine mostra come non esistano frontiere che reggano di fronte all’amore familiare. Di come due genitori non udenti possano capire e accettare qualcosa per loro inaccessibile come il canto, a tal punto che il padre chiede alla figlia di cantargli la sua canzone. Una canzone che è sì cantata, ma ascoltata non più dalle orecchie, bensì dal cuore di un genitore che viene travolto dall’amore che la figlia mette in questa sua passione.
Un film coinvolgente a tal punto che l‘associazione Coda, che rappresenta i figli udenti di genitori sordi, ha commentato la visione del film “La famiglia Bélier” con queste parole:
Ieri sera abbiamo (finalmente) visto un film che ha destato non poche polemiche. Il nostro punto di vista è stato chiaro sin da subito: si tratta di un film con attori udenti che interpretano il ruolo di sordi, in lingua originale con sottotitoli in italiano (e non per sordi), ma eravamo curiose perché si raccontava di noi, figli udenti di genitori sordi! – spiega Coda, che ha visto la pellicola in una sala in cui erano presenti sordi, udenti che studiano la Lis e udenti che non conoscono nulla della comunità sorda e della loro lingua. A fine proiezione eravamo tutti con le lacrime agli occhi, perché il film ha davvero emozionato tutti! – raccontano – Esiste un linguaggio che va oltre le parole, i segni e che comunica attraverso le emozioni! Noi abbiamo cercato, semplicemente, di andare oltre le parole per una volta, noi che sappiamo bene cosa vuol dire dover giustificare un tipo di comunicazione tra genitori e figli sconosciuta ai non addetti ai lavori, noi che abbiamo dovuto spiegare e far capire mille volte che non si tratta di linguaggio dei gesti, ma è una lingua, noi che abbiamo sentito chiamare i nostri genitori “sordomuti”.
Camilla Ruffo