Qualcuno volò sul nido del cuculo: l’adattamento al Bellini

Regia di Alessandro Gassman, adattamento di Maurizio De Giovanni, il talentuoso scrittore napoletano sbarcato anche all’estero con la serie di romanzi dedicati al commissario Ricciardi: l’adattamento teatrale di “Qualcuno volò sul nido del cuculo”, in scena al Bellini dal 10 al 19 aprile, ha tutte le carte in regola per risultare uno spettacolo vincente.

qualcuno volò sul nido del cuculoE infatti se le gioca tutte.

Qualcuno volò sul nido del cuculo: tra cinema e teatro

Iniziamo dall’ambientazione: se avete letto qualche libro di De Giovanni saprete bene che ama collegare strettamente la vita dei suoi personaggi con lo scenario in cui essa si svolge. Non sorprende, quindi, che la storia sia de-contestualizzata e inserita in un ambiente del tutto diverso: Aversa, ospedale psichiatrico, 1982. Tenete a mente questa data, ci torneremo più avanti.

Negli ambienti ristretti, vivendo sempre con le stesse persone, si sa: c’è da impazzire… soprattutto se già si è “pazzi” da prima. L’arrivo di Dario Danise (Daniele Russo), ragazzo di strada giunto lì per sfuggire alla prigione, non può far altro che scombussolare un equilibrio già estremamente precario, scuotendolo e modificando radicalmente il comportamento degli stessi pazienti.

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Modellato sulla figura di McMurphy, Danise è un perfetto scugnizzo napoletano: si esprime in dialetto, accompagna le parole coi gesti, se la prende per qualsiasi cosa, cerca il suo tornaconto economico proponendo di mettere in palio le pensioni dei pazienti a carte ma, soprattutto, è dotato di una spontaneità e sincerità tipicamente nostrane. Il rapporto che intesse con gli altri, man mano che si sviluppa la storia, è molto più viscerale di quello rappresentato nel film, proprio come si addice al suo contesto: Danise si affeziona ai sette “pazzarielli”, fa di tutto per scuoterli dal loro torpore, cerca di coinvolgerli nelle sue malefatte… e alla fine quelli acconsentono. È particolarmente commovente il rapporto che instaura con Ramon, il gigantesco sudamericano fintamente sordomuto che, alla fine dello spettacolo, romperà letteralmente lo schermo.

 Schermo? Sì, Gassman ha pensato anche a questo: un telo trasparente separa il palco dalla sala, e all’occorenza vengono proiettate su di esso scene o parti di scene che si integrano con la scenografia. Questa tecnica della “videografia”, che di fatto crea un ibrido tra cinema e teatro, risulta in questo caso particolarmente riuscita: ci permette, ad esempio, di vedere i sogni e le allucinazioni dei personaggi, ma resta soprattutto impresso il “piccolo” grande Ramon che, alla fine di tutto, solleva una statua della Madonna e distrugge il vetro delle finestre per fuggire via verso la libertà: una conclusione davvero liberatoria che scioglie, da sola, tutta la tensione accumulata durante lo spettacolo.

Da notare gli adattamenti di alcune scene o elementi all’interno del nuovo contesto: ricordate la partita di baseball che McMurphy simulò, dopo che gli fu negato di vederla in TV? Ecco, Danise simula la finale dei Mondiali tra Italia e Germania, e anche se i “pazzarielli” fissano uno schermo vuoto, sul telo trasparente appare, come una visione, Tardelli che segna e urla di gioia: non solo loro, ma tutti gli spettatori vengono coinvolti e vivono la partita insieme a Dario.

E il lavabo che McMurphy voleva sollevare per scappare? Viene pragmaticamente trasformato in statua della Madonna, perfetto emblema della religiosità napoletana, tanto che i personaggi le passano spesso vicino e la sfiorano, come a volersela propiziare.

La recitazione è tutta giocata sulla “napoletanità”, tant’è vero che spesso vengono ripetute anche cinque volte le stesse battute, proprio come avviene in una conversazione “verace”; gli attori riescono senza difficoltà a trasmettere un senso di compassione nei confronti di quei loro personaggi quasi ridicoli, pur senza farli scadere nella “macchietta”.

“Un testo che è una lezione d’impegno civile, uno spietato atto di accusa contro i metodi di costrizione e imposizione adottati all’interno dei manicomi ma anche, e soprattutto, una straordinaria metafora sul rapporto tra individuo e Potere costituito, sui meccanismi repressivi della società, sul condizionamento dell’uomo da parte di altri uomini.” (A. Gassman)

Del sistema repressivo messo in scena ciò che spaventa di più non è la crudeltà: Suor Lucia, che concentra in sé tutto il senso della repressione, è convinta per tutto il tempo di essere nel giusto, e da questa sua ferma convinzione dipende la rovina dei personaggi.

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“Qualcuno volò sul nido del cuculo”, ancora di più in questo suo riadattamento, è una storia sulla diversità, in cui non si vuole affermare che siamo tutti uguali al di là delle differenze, ma che ognuno di noi ha bisogno di esprimersi e di essere compreso, perché solo nel rapporto con l’altro anche un “diverso” può sentirsi riscattato.

Ulteriori informazioni: sito Bellini

Maria Fiorella Suozzo

fonte immagini: google images