Struscio è il termine con cui nell’area napoletana si indica quella processione prepasquale che altrove si è soliti definire “giro dei sepolcri“, ovvero la passeggiata pomeridiana o serale che si compie il Giovedì Santo, durante la quale si adorano i cosiddetti sepolcri, cioè le solenni esposizioni dell’Eucaristia che si tengono in questo giorno della Settimana Santa nelle chiese cattoliche.
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Struscio… i piedi a terra
La tradizione dello struscio risale agli anni del Viceregno, quando a Napoli, nell’anno 1704, così come era già tradizionale in Spagna, il viceré Fernández Pacheco de Acun͂a emanò un bando per bloccare la circolazione di carrozze dal mezzogiorno del Giovedì fino all’ora della Messa solenne del Sabato Santo, in un primo momento per tutte le principali arterie cittadine, poi limitatamente alla più importante strada di Napoli, cioè via Toledo.
Qui la famiglia reale in pompa magna, con l’intera compagnia delle Real Guardie del Corpo e un corteo di cortigiani al seguito, dopo il vespro del Giovedì Santo, si recava a piedi nelle chiese limitrofe per fare visita ai sepolcri. Presto i napoletani, non solo nobili ma anche borghesi e popolani, cominciarono a imitare la tradizione spagnola importata dal viceré; tuttavia, visto il divieto di circolazione con i carri, i fedeli erano costretti a camminare a piedi e, poiché la folla nel tempo si fece numerosa, il passeggio divenne lento e si procedeva strusciando i piedi a terra.
Fà ‘e sette cchiesielle
Fà ‘e sette cchiesielle è l’espressione dialettale che si usa per far riferimento a chi, non avendo altro da fare, ha l’abitudine di gironzolare per le case altrui, per ammazzare il tempo, per inciuciare e per accaparrarsi gratuitamente un caffè. Il detto deriva proprio dalla processione pasquale dello struscio, in quanto le sette cchiesielle chiamate in causa sono gli edifici religiosi che il fedele incontra – nel numero di sette appunto – andando da piazza Dante (un tempo largo Mercatello) a piazza del Plebiscito (già largo di Palazzo) lungo via Toledo: basilica dello Spirito Santo, chiesa di San Nicola alla Carità, chiesa di San Liborio alla Carità, chiesa di Santa Maria delle Grazie a Toledo, chiesa di Santa Brigida, chiesa di San Ferdinando di Palazzo e, infine, la Real basilica pontificia di San Francesco di Paola.
Il rituale prevedeva di intrattenersi a pronunciare orazioni in ciascuna di queste chiese, nelle quali per l’occasione i “sepolcri” erano adornati di fiori bianchi e di candele accese.
In napoletano strusciare significare pure “lisciare, adulare“: da qui l’idea secondo cui il termine struscio possa far riferimento anche alle adulazioni dell’Eucaristia del Giovedì Santo. Visto che le chiese incontrate nel rituale tratto dello struscio a via Toledo erano – come detto – sette, i più pigri instaurarono la consuetudine che i sepolcri da visitare potessero essere pure meno, purché in numero dispari.
Addirittura, qualche devoto poco propenso a camminare trovò lo stratagemma di recarsi nella chiesa più vicina alla propria abitazione, entrandovi ed uscendovi sette volte fila!
Struscio… di stoffe
La processione del Giovedì Santo si trasformò presto in un momento dell’anno assai atteso soprattutto dai giovani e dalle donne, poiché cominciò a rappresentare l’occasione per sfoggiare l’abito nuovo; lo struscio divenne allora una sorta di gara di sfarzo, al punto tale che, nel 1781, Ferdinando IV di Borbone intervenne per rendere la festività religiosa più austera, così come racconta Vincenzo Florio, Memorie storiche, ossiano Annali Napolitani dal 1759 in avanti.
A tal proposito, per Raffaele Bracale la voce struscio fu adottata con riferimento proprio al fruscio prodotto dalle lunghe vesti di raso indossate dalle signore per la rituale passeggiata: le stoffe ancora rigide dei vestiti ‘ncignati per l’occasione strusciavano tra di loro producendo un curioso suono. In misura leggermente diversa si esprime Francesco D’Ascoli che, nel suo Vocabolario napoletano, mette in relazione il lemma struscio con gli abiti a strascico che le donne erano solite indossare il Giovedì Santo per sfilare a Toledo.
‘O struscio di Raffaele Viviani
Il grande genio di Raffaele Viviani ci offre un vivace affresco di che cosa dovesse essere la processione dei sepolcri a Napoli in una sua poesia, dal titolo evocativo ‘O struscio:
Giovedì Santo ‘o «struscio» è nu via vaie:
Tuledo è chiena ‘e gente ‘ntulettata,
ca a pede s’ha da fa’ sta cammenata,
pe’ mantene’ n’usanza antica assaie.
– Mammà, ci andiamo? – Jammo. Ma che faie?
– Vediamo due sepolcri e ‘a passeggiata.
E ‘a signurina afflitta e ‘ncepriata
cerca ‘o marito ca nun trova maie.
‘A mamma ‘areto, stanca, pecché ha visto
ca st’atu «struscio» pure se n’è ghiuto,
senza truva’ chill’atu Ggiesucristo,
s’accosta a’ figlia: – Titine’, a mammà,
ccà cunzumammo ‘e scarpe. – L’ho veduto.
E me l’hai detto pure un anno fa.
Un sonetto che è in verità una scena teatrale, in cui le due figure femminili, la mamma e la figlia, intrecciano le loro battute con il “commento” del poeta (E ‘a signurina afflitta e ‘ncepriata / cerca ‘o marito ca nun trova maie); un sonetto che ci fa venire la voglia di rivivere questi momenti di vita napoletana ancora attuali almeno fino alla metà del secolo scorso.
Carmine Caruso
Bibliografia:
FRANCESCO D’ASCOLI, Nuovo vocabolario dialettale napoletano, Napoli, Gallina, 1993
ACHILLE DELLA RAGIONE, Napoli e la napoletanità nella storia dell’arte
RAFFAELE VIVIANI, Poesie (a cura di Antonia Lezza), Napoli, Guida, 2010
Sitografia:
http://www.skipblog.it/2013/03/28/lo-struscio-quando-la-gente-elegante-correva-ai-miserere-per-fare-sfoggio-di-vestimenta/
http://lellobrak.blogspot.it/2015/04/fa-e-ssette-chiesielle-o-struscio.html?m=1