Il rock ha rappresentato da sempre il genere musicale maggiormente legato a fenomeni di costume. Determinate mode hanno preso il loro nome da sottogeneri del rock: basti pensare ad esempio al punk, o all’emo. Questo legame è presente sin dai primi vagiti della musica rock. Negli anni ’60 la sottocultura britannica mod ha il suo riferimento musicale nei The Who.
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La Swinging London e il movimento mod
In questo periodo si parla, non a caso, di “Swinging London“, di Londra “di moda”. La capitale britannica, dopo essersi ripresa dallo shock della Seconda Guerra Mondiale, diventa un punto di riferimento culturale.
La moda del periodo si chiama “mod”, diminutivo della parola “modernism“, che trae le sue radici dall’omonima corrente filosofica nata proprio nel Regno Uniti. Da subito ha un fortissimo legame con la musica. I giovani mod diventano fan di trasmissioni come “Ready, Steady, Go!” e l’ancora vivente “Top of the Pops“, vetrine non solo di band musicali amate dai giovani britannici, ma anche della moda mod. Si affermano a Londra locali di tendenza dove i giovani della capitale possono assistere alle esibizioni delle band mod.
La moda mod prevede l’uso di abiti di grido, fra cui il parka verde, successivamente riportato in auge dagli Oasis; anche un elemento nostrano è parte della moda mod: possedere una Lambretta o una Vespa significava essere identificato automaticamente come un mod.
The Who: i simboli del movimento mod
I The Who entrano presto nei cuori dei giovani mod, in quanto provenienti dai loro stessi quartieri (Shepherd’s Bush, da cui provengono i The Who, sono fra i due rioni di riferimento della moda insieme a Stepney) ed espressione del loro medesimo sentire. La band londinese incarnava quella gioventù britannica che rigettava quella che per loro era l’asfissiante tradizione culturale britannica, allo stesso modo dei primi rocker statunitensi per i giovani americani.
Inizialmente i The Who non incarnano le caratteristiche mod: la loro carriera infatti inizia con un repertorio pop. Soprattutto quando la leadership passa dal cantante e fondatore del gruppo Roger Daltrey al chitarrista e compositore Pete Townshend i The Who diventano i portavoce della controcultura mod.
Progressivamente, grazie, appunto, ad apparizioni alla trasmisione “Ready, Steady, Go!”, i The Who diventano sempre più popolari, e con essi il look mod.
Marchio distintivo dei The Who è la sistematica distruzione della chitarra al termine di ogni esibizione, gesto che, ovviamente, colpisce ed affascina i giovani.
My Generation
My Generation, eletta undicesima canzone rock migliore di ogni tempo dalla prestigiosa rivista “Rolling Stone“, è un manifesto generazionale. Si tratta del corrispettivo anni ’60 delle successive Anarchy in the Uk e Smells Like Teen Spirit, l’inno dell’intera controcultura giovanile contro l’establishment culturale.
Le tonalità e il testo, decisamente più aggressivi delle canzoni dei Beatles, esprimono al meglio la rabbia dei giovani mod britannici, facendo il paio con (I can’t get no) Satisfaction dei Rolling Stones.
Il singolo farà da traino al primo album dei The Who, intitolato per l’appunto My Generation, pubblicato in Inghilterra nel dicembre del ’65; il mese successivo uscirà anche negli States.
Si tratta solamente del primo successo dei The Who, che, pian piano, si allontaneranno dall’ambiente mod per diventare una rock band tradizionale, la cui carriera culmina con l’album Tommy del 1969, uno dei primi esempi di concept album degli ultimi anni ’60.
Le altre band mod e il lascito del movimento
I The Who rappresentano la punta di diamante del movimento, ma non l’unica perla: ad esempio un altro gruppo mod di una certa rilevanza sono i Kinks, di cui abbiamo già parlato; sono da citare, inoltre, anche gli Small Faces.
Il movimento mod si conclude negli anni ’60, ma avrà non pochi revival: il primo avviene alla fine degli anni ’70, e il secondo negli anni ’80; ma quello più importante emerge negli anni ’90, con la nascita del Britpop dei Blur e dei sopraccitati Oasis, i quali sia nel look, sia nello stile musicale, prendono a piene mani dalle band mod.
Davide Esposito
Bibliografia
Guaitamacchi, E., My Generation in Storia del Rock, Hoepli, Milano 2014