Abbiamo visto, in un articolo di qualche tempo fa, quanto la Napoli a cavallo tra XIV e XV secolo, alle soglie dell’epoca moderna, dimostri la sua importanza nel quadro artistico europeo. La città partenopea continuò, quindi, il suo ruolo esemplare anche dopo il ricco periodo angioino, nonostante l’ennesima dominazione che le si prospettava; difatti gli aragonesi, di lì a qualche anno, avrebbero preso il potere e al loro casato sarebbe toccato far transitare Napoli ed il suo Regno fuori dal medioevo.
Niccolò Antonio, detto Colantonio
Operò, proprio in questo periodo, uno degli artisti che è considerato il raccordo tra quell’arte del nord tanto ammirata e celebrata, quale quella fiamminga, e quella del sud d’Europa che proprio a Napoli era di casa. Stiamo parlando di Colantonio, nome venuto fuori dall’unione di Niccolò e Antonio, pittore che guardò all’arte dei paesi bassi, ne trasse grandi insegnamenti per portarla su suolo italico ed insegnarla e farla apprezzare sino in Sicilia grazie al suo allievo Antonello da Messina.
Da quello che si sa della sua vita, Colantonio spese il suo tempo per lo più a Napoli dal 1420 al 1460 circa, operando sia per re Renato d’Angiò, ultimo esponente angioino, che per Alfonso il Magnanimo primo sovrano spagnolo.
La sua formazione avvenne soprattutto grazie ai contatti che, tra ‘300 e ‘400, la corte di Renato aveva con alcuni esponenti della cultura fiamminga, fu così che il nostro artista apprese ed insegnò, nella sua bottega napoletana, quella che poi sarà una sua personale visione dell’arte nordica; Colantonio, infatti, rielaborò il modo di dipingere del nord Europa, lo mediò con quello mediterraneo, sino a creare uno stile che si imporrà, proprio in quegli anni, a Napoli e nel Regno.
Tutto ciò lo possiamo apprezzare nelle opere che lo stesso pittore ha costruito di cui abbiamo testimonianza da diversi documenti scritti e, più fortunatamente, dalla visione diretta di alcune opere arrivate sino a noi.
Colantonio e la pittura fiamminga, il “San Gerolamo”
Il Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli custodisce il “San Gerolamo nello studio” che il maestro napoletano dipinse, per la chiesa di San Lorenzo Maggiore, nel più grande progetto di un polittico che comprendeva un’altra tavola presente nell’esposizione della Reggia napoletana, la “Consegna della regola francescana”.
Misto di olio e tempera su tavola, il dipinto raffigura San Girolamo nel suo studio al cospetto del suo fidato leone (animale che lo contraddistingue) a cui allevia le pene estraendo una spina dalla zampa, il tutto incorniciato dall’arredo ligneo della stanza che ospita i suoi innumerevoli interessi di studioso e dottore della Chiesa.
Sarà proprio questo il punto centrale di questo quadro, fisso nel limpido modo di dipingere della pittura fiamminga dai colori oleosi ed opachi, con i particolari chiari e precisi fin nei più minuscoli dettagli.
Colantonio prende spunto da questo modo artistico, mischia i colori a tempera a quelli ad olio diluendo la viscosità e la resa matta dell’aspetto finale; ma gli scaffali e le loro venature, insieme a quelle del pavimento, restituiscono il valore dell’insegnamento nordico vista la precisione con cui l’artista ce li ha riproposti.
È poi da focalizzare la nostra attenzione sugli oggetti presenti nell’opera perchè sono proprio loro, oltre al cardinale-santo, i protagonisti della scena; dal Leone, rigido nella sua posa ma imprescindibile nell’azione che si svolge, al cappello rosso cardinalizio che designa Colantonio come uno dei pilastri della Chiesa romana, ruolo forse non tanto importante per lui visto il fatto che l’oggetto è lì accantonato sul tavolo. Poi i libri, le carte, gli inchiostri e i calamai riposti ingarbugliatamente tra mensole e ripiani della sua stanza illuminata da sinistra.
Tutti questi oggetti, ognuno ben riconoscibile, ha la sua precisa valenza nell’economia dell’opera, facendo della simbologia uno dei centri di essa; ogni cosa, difatti, ci restituisce qualcosa sulla storia di San Girolamo come il cappello prima menzionato o i libri che indicano la sua grande dedizione alla conoscenza ed alla sete di sapere.
È questo quello che Colantonio vuole passare con la sua opera, con l’attenzione per i particolari ed i simboli, mediata attraverso i suoi fondamenti fiamminghi commisti all’influenza del sud d’Europa e del clima artistico napoletano. Tutto ciò lo incarnerà ancor meglio nella tavola della “Consegna della regola francescana”, dove con colori più chiari ed accorgimenti tecnici e prospettici darà modo di aver capito ed assimilato il nuovo modo di fare che proprio a Napoli troverà grandi spunti e da qui si diffonderà.
Liberato Schettino