Parlare oggi di copyright è davvero complesso e presuppone un punto di vista nuovo e diverso che si adatti alle condizioni in cui si è giunti a creare e diffondere nel mondo la propria idea, il proprio prodotto.
Con il termine inglese si identifica infatti il diritto d’autore, cioè la protezione di qualcosa di unicamente personale che, difeso dalla legge, non può essere riprodotto da terzi se non previa autorizzazione del soggetto produttore e, talvolta, con il pagamento di una somma che ne compensi l’uso.
Nel caso del mondo dell’arte si parla spesso e con posizioni molto diverse di copyright. Il dibattito risale però sicuramente all’ultimo secolo, con la protezione degli artisti e del loro operato e con il crescente peso che questi hanno nel mercato.
Anticamente non esisteva il senso della “copia”, basterebbe pensare ai romani, furbi copisti dei vicini greci, con ammirazione, s’intende. Ma già gli stessi greci avevano pensato di creare botteghe in cui riprodurre in serie oggetti artistici, da vendere poi ai clienti e da esportare in tutte le colonie della Magna Grecia.
Anche il concetto di plagio nella letteratura nasce in tempi recenti. Nel Medioevo e in età moderna “citare” un collega significava molto spesso conferirgli lustro e riconoscere i meriti dei suoi scritti. Anche se poi molto spesso non se ne citava la fonte…
Oggi invece siamo bombardati da avvisi che ci ricordano come, nell’era di internet, sia giusto rispettare il diritto d’autore: Youtube, ad esempio, opera un forte controllo dei video postati, musicali e cinematografici, perché visionarli su canali non ufficiali viola la legge.
Ma è davvero giusto parlare di copyright al giorno d’oggi?
Nell’epoca in cui le informazioni girano alla velocità della luce e in cui molti proclamano la necessità di una cultura aperta e accessibile a tutti si può davvero chiedere ad un artista o un privato di vietare fotoriproduzioni o imitazioni di un’opera? È giusto sanzionare la trasmissione pubblica di musica e film attraverso un organismo come la Siae?
Il dibattito sull’opera d’arte “nell’epoca della sua riproducibilità tecnica”, ben esplicato dal filosofo Walter Benjamin, è davvero cogente. L’arte contemporanea, che con estrema facilità chiamiamo “concettuale”, vive molto spesso nelle intenzioni del suo creatore e perde la sua “aura” nel momento in cui viene prodotta e l’artista prende le distanze da questa, lasciandola alla mercé del pubblico.
Il Dada, innegabilmente, ha giocato con molto anticipo un ruolo fortissimo in questo dibattito con i suoi ready-made e con un’arte che si dimostra a stretto contatto con la quotidianità, e i movimenti artistici successivi, primo tra tutti la PopArt, sanciscono i concetti di serialità produttiva e meccanicità che fanno perdere il carattere di unicità ad un prodotto, calandolo nella realtà quotidiana e quindi rendendolo par inter pares.
Di momenti emblematici negli ultimi decenni ce ne sono numerosi, e a proposito di copie e legittimità possono valere come esempi i lavori delll’appropriazionista Sherry Levine o il caso “Sturtevant”, artista morta lo scorso anno e in mostra per tutta l’estate al Museo Madre.
Elaine Sturtevant ha basato quasi tutto il suo successo sull’imitazione di opere d’arte di artisti a lei contemporanei, in particolare proprio degli esponenti della PopArt che negavano l’esclusività delle loro produzioni. Talvolta ha trovato l’approvazione dei suoi colleghi, altre volte ha dovuto incassare l’accusa di plagio e affrontare beghe legali.
Con l’allargamento del mercato d’arte in tutto il mondo la circolazione data dalla vendita delle opere d’arte non assicura neanche il trasferimento del copyright al compratore, lasciandolo spesso nelle mani dell’artista quando non specificato. Quando un mecenate acquista un’opera, compra anche il concetto e l’eventuale uso che di questo se ne fa? E questo non dovrebbe far aumentare – ancora di più! – i prezzi delle vendite?
Come ben spiega qui il Sole24ore, d’altronde, una legislazione precisa in merito ancora oggi non c’è.
In tutto questo, però, ci si dimentica facilmente di una cosa: che l’artista non vive di sola gloria. Se un discorso del genere è facilmente applicabile agli artisti di fama mondiale che vivono in maniera anche molto agiata grazie al loro lavoro, sicuramente non si può dire lo stesso di piccoli artisti, musicisti, film-maker, che sgomitano per la loro affermazione nel mondo dell’opinione pubblica.
Già nel 2011, oltretutto, l’Unione Europea ha bocciato gli attuali sistemi di copyright: “Sistemi sorpassati, anacronistici, costosi ed in fondo inutili” (parole di Neelie Kroes, vicepresidente Commissione europea e responsabile dell’Agenda Digitale UE) e che molto spesso non giovano all’artista.
Come al solito, si parte da un trampolino artistico e creativo e si sprofonda dopo il tuffo nella burocrazia e in una produzione legislativa poco chiara e flessibile di diverse interpretazioni.
Ad ogni modo, se pensate di fotografare o riprodurre in altro modo opere di un artista ancora in vita o non ancora morto da 70 anni, pensateci bene, perché violate il copyright.
Antonella Pisano