La Crocifissione di Masaccio al Museo Nazionale di Capodimonte a Napoli, opera di prestigio artistico e tecnico, ci racconta di un artista tra nuovo e vecchio.
Napoli non è soltanto chiese chiuse e nascoste o arte e cultura da recuperare: la città partenopea possiede e custodisce gelosamente tante altre opere d’arte.
I musei sono tra i fiori all’occhiello della città, collezioni artisticamente uniche messe insieme ed ereditate da sovrani, da filantropi, da napoletani amanti d’arte; oppure esposizioni create da acquisizioni dello Stato o da donazioni varie che vanno ad incrementare le già ricche mostre permanenti.
Noto a tutti è il Museo Nazionale della Reggia di Capodimonte che espone disegni, oggetti e dipinti della grandiosa collezione Farnese, arrivata a Napoli all’inizio del XVIII secolo, ma anche opere di alto valore acquisite nel corso degli anni, soprattutto sotto il patronato statale.
Sarà proprio un acquisto avvenuto alla inizio del secolo scorso il tema di questo analisi, un’opera facile da notare per la luce che sembra emanare, ma dalla storia artistica e tecnica molto interessante.
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Tommaso di ser Giovanni detto Masaccio
La Crocifissione di Masaccio (Tommaso di ser Giovanni di Mone Cassai 1401-1428), esposta al primo piano della reggia di Capodimonte nella sala 3, fu comprata dai funzionari del Regno Italiano nel 1901 e creduta di mano anonima fiorentina.
Solo dopo qualche anno, e diversi studi, lo storico dell’arte austriaco William Suida ne attribuì la fattura all’artista quattrocentesco di San Giovanni Valdarno; analisi più avanzate portarono anche ad un’ipotesi più precisa che identificò la tavola del Masaccio come facente parte di un’opera ben più ampia come il cosiddetto “Polittico di Pisa”.
La Crocifissione di Masaccio
Sulla tavola lignea è stesa una foglia d’oro a fare da sfondo, tecnica in voga in epoca bizantina e alto medievale, ma quasi in disuso per un’opera del ‘400; le figure sono dipinte a tempera e rappresentano pienamente la disperazione della Madonna, di san Giovanni e di Maria Maddalena dinanzi a Cristo appena spirato sulla croce.
Maria, sulla sinistra e rivolta verso il simbolo del martirio, è impietrita nel suo mantello blu: il dolore nel viso che rimane a bocca aperta, la mani giunte che restituiscono ancora di più la disperazione di una madre che vede morire il suo unico figlio.
Sulla nostra destra si staglia la figura di Giovanni che, con lo sguardo perso nel vuoto, tiene le mani giunte a reggere il volto gemente di dolore. Interessante è la figura di Maria Maddalena che, in una congiuntura così statica di figure, è l’unica che dà vitalità alla scena; inginocchiata ai piedi della croce e di spalle, Masaccio ci trasmette tutta la sua disperazione tramite il solo gesto delle braccia aperte verso l’alto, quasi a voler toccare l’anima di Cristo che sta salendo al Padre.
Qui l’artista ci rivela quanto la lezione giottesca, della novità figurativa delle espressività delle figure, sia stata esemplare: lo stesso gesto in cui qui compare la Maddalena, viene introdotto per la prima volta con Giotto che, nella Cappella degli Scrovegni a Padova, nella scena del “Compianto su Cristo morto” dipinge Giovanni in quella stessa posa (qui un precedente articolo sul tema).
È la figura di Cristo, appena spirato sulla croce che si staglia al centro della tavola, ad attirare l’interesse e lo sguardo di studiosi e visitatori; quello che subito colpisce, e potrebbe indurre a valutazioni errate sulle capacità dell’artista fiorentino, è che Gesù con la testa leggermente piegata sulla spalla destra, si presenta senza collo con il capo praticamente attaccato alle spalle.
Quello che a molti potrebbe sembrare un difetto è semplicemente un accorgimento prospettico, operato sapientemente dal Masaccio, poiché questa tavola era il pannello più alto del polittico di cui era parte.
Difatti, se ora lo osservassimo quasi schiacciati a terra, il Cristo ci apparirebbe perfettamente disegnato come se fosse all’altezza considerevole a cui era posta la Crocifissione di Massaccio nel grande quadro composto di Pisa.
Il Polittico di Pisa
Questa tavola, come già ricordato, fu riconosciuta all’inizio del ‘900 come parte integrante di un polittico commissionato al Masaccio e destinato alla cappella del notaio ser Giuliano di Colino degli Scarsi da San Giusto della chiesa del Carmine di Pisa.
Un’opera composta da 17 tavole, tra maggiori e minori, tra cui spicca una “Madonna in trono” ora alla National Gallery di Londra, i santi Paolo (Museo Nazionale di Pisa), Andrea (Getty Museum di Los Angeles), Agostino e Girolamo (Staatliche Museen di Berlino) e la Crocifissione di Masaccio a fare da cuspide.
Una meravigliosa opera smembrata ormai sin dal ‘500, di cui ci dà notizia Giorgio Vasari nelle sue “Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori, e architettori” e che poi, nel corso del XVII o XVIII secolo, venne rimosso dall’altare, smembrato e disperso.
Liberato Schettino