Molto si è detto (e moltissimo si è scritto) di Expo Milano 2015, ben prima che i cancelli del sito espositivo aprissero al pubblico. I tristemente noti casi di corruzione e conseguenti ritardi dei lavori hanno sicuramente offuscato un’imponente campagna pubblicitaria portata avanti a livello istituzionale oltre che mediatico; nonostante ciò, già centinaia di migliaia di persone provenienti da tutto il mondo hanno visitato quella che – nel bene e nel male – è la vetrina che l’Italia sta dando al mondo. Perché, andando oltre le idee pro o contro Expo 2015, è stato fisicamente costruito dal niente un sito grande più di un milione di metri quadri, e il Bureau International des Expositions ha scelto qualche anno fa proprio il Belpaese per l’Esposizione Universale. Ho avuto modo di conoscerla bene, Expo 2015, durante i miei 13 giorni come volontario: ecco quello che ho visto, senza censure.
I padiglioni di Expo 2015: l’esterno
I padiglioni sono il cuore di Expo 2015, nonché la sua componente più pubblicizzata: Palazzo Italia insieme all’Albero della Vita è probabilmente la prima attrazione dell’Esposizione. Ogni padiglione mette in risalto una caratteristica particolare del Paese che l’ha progettato o la propria interpretazione del tema “Nutrire il pianeta, energia per la vita”, senza alcun vincolo alla creatività. Il risultato è un’esplosione di forme e colori che, anche se dissonanti ad un primo sguardo, si fondono armonicamente lungo tutta la via principale, il cosiddetto “decumano“: largo 36 metri e lungo 1500, ospita ben 60 padiglioni (esclusi quelli italiani), tra i quali è difficile trovarne due simili: alcuni Paesi hanno ricostruito simbolicamente abitazioni tipiche della loro cultura (Oman, Bahrain, Sudan, Marocco, Qatar, Thailandia), altri hanno scelto soluzioni più “minimaliste” e tecnologiche (Lituania, Moldavia, Corea del Sud, Romania, Israele), altri ancora si sono ispirati al cibo (l’alveare della Gran Bretagna, le cassette di frutta per la Polonia, la pannocchia il Messico, infine i semi per la Malesia) o alla religione (Spagna, Nepal, Santa Sede). Meritano una menzione anche progetti molto originali come quello dell’Azerbaijan, dell’Iran, dell’Olanda – con un vero e proprio padiglione “destrutturato” e rappresentante un luna park – e dell’Austria, che riproduce il microclima di un bosco austriaco. Le foto dei padiglioni si possono vedere qui.
I padiglioni: l’interno
Ma è all’interno dei padiglioni che si scorge la differente abilità nell’approcciarsi al tema, e le differenze tra “i più bravi” e “i meno bravi” si colgono chiaramente. Escludendo alcuni padiglioni che attualmente devono ancora essere completati (Romania, Nepal, Moldavia), le code più o meno lunghe al di fuori di essi testimoniano che esistono padiglioni di serie A e di serie B. I migliori padiglioni sono in genere anche i più grandi, e il loro comun denominatore è l’aver creato un percorso interattivo con il pubblico, fatto di video, pannelli touch screen, spettacoli live (un plauso a Kazakistan, Giappone e Germania) e perfino veri e propri “cinema” (EAU, Kazakistan, Colombia, Thailandia). Al contrario, hanno steccato i Paesi che si sono troppo affidati a percorsi “sensoriali”, a molti testi o video-documentari: insomma quelli meno spettacolari (un flop in cui sono caduti molti big: Francia, Spagna, Gran Bretagna, Stati Uniti). La sensazione è che i Paesi più piccoli e quindi impegnati ad autopromuoversi (cito anche l’Angola, uno dei migliori; Estonia, Slovenia, Svizzera, Cile) abbiano dato il meglio ad Expo 2015.
Nel prossimo articolo vi racconterò del ruolo dell’Italia, del cibo e i flop di Expo 2015.
Claudio Urciuolo