Spesso ci si chiede se possa esistere l’amore senza la vista, se sia possibile innamorarsi senza vedere l’oggetto dell’amore, senza sentirne la voce, scambiando solamente idee ed opinioni, chiacchierando per ore senza mai vedersi né guardarsi. Pensieri come questi possono riempire la mente dopo la lettura di un celeberrimo sonetto di Guido Cavalcanti, “Voi che per li occhi mi passaste ‘l core”, o in seguito alla, certamente godibile, visione di un film di Spike Jonze: Her, giunto in Italia con il titolo Lei.
È inevitabile pensare che ci possa essere un filo sottile e setoso a collegare le due esperienze. Nelle due diverse opere è decantato l’amore ma il punto di giuntura, o se vogliamo di sgiuntura, è la tipologia d’amore. Nel sonetto nato della penna del padre dello stilnovismo, l’amore cantato è frutto della visione: “Voi che per li occhi mi passaste ‘l core e destaste la mente che dormia”. Chiaro è il concetto principale, nonostante il volgare: Voi (espressamente riferito alla donna amata) attraverso gli occhi mi avete trafitto il cuore e svegliato la mia mente che dormiva.
La sola visione della donna, come una lama affilata è in grado di trafiggere il cuore e svegliare la mente. Dunque gli occhi sono fondamentali, senza gli occhi nessuno di noi potrà mai essere abbracciato da Amore, essere piacevolmente trafitto dalla sua freccia, assaggiare le sue sublimi torture. Ed è dunque la vista la vera scintilla, il vero rintocco che sveglia la mente addormentata accendendo l’interesse dell’uomo (in questo caso) nei confronti di una giovane donna.
Theodore e Lei
Sacrilegamente, per ogni cavalcantiano affezionato, Spike Jonze propone un diverso concetto di amore. Il protagonista del film è Theodore (Joaquin Phoenix) un uomo molto introverso, timido, romantico, solo e profondamente in crisi a causa della sua situazione sentimentale. Theodore vive in un futuro che potremmo definire prossimo, dove il rapporto con la tecnologia è ormai all’ordine del giorno, molto più stabile e radicato rispetto a quello dei nostri giorni. Un giorno la sua solitudine viene parzialmente colmata dalla scoperta di un sistema informatico “intelligente”, un O.S. (Operating System) che acquista, attiva e la sua mente che dormia ha la fortuna di destarsi.
Il suo O.S. è Samantha: intelligente, estroversa, simpatica e curiosa, praticamente un computer dotato di anima. Samantha è in grado di sbalordire, di stare accanto e di aiutare Theodore che incredulo verso i propri sentimenti si lascia andare, ed intraprende una storia d’amore con Lei, una storia d’amore chiaramente virtuale, nonostante i due cerchino di colmare la distanza rappresentata dall’assenza della fisicità di Samantha.
Il protagonista si innamora di una donna priva di corpo, ma si innamora di un’anima. Non potrà mai conoscere il colore dei suoi capelli né il colore delle sue labbra o la sinuosa linea dei suoi fianchi. Eppure decide di essere vivo in questa relazione, di esserci, di viaggiare con Samantha e passeggiare con Lei, lasciandole scoprire il mondo attraverso un piccolissimo obbiettivo.
Tante le discrasie che uniscono queste due opere, figlie di epoche, contesti e società diverse. Non si può fare a meno di relazionarle con la realtà attuale della nostra società: quanto può essere vero un amore ideale, quanto fascino comporta e quanta difficoltà?
Per quanto affascinante, l’amore ideale e platonico probabilmente non è fatto per gli esseri umani che, per quanto colti e nobili, hanno sempre bisogno degli occhi, delle labbra e del sapore della pelle per amare a tutto tondo, esseri che non sono sempre in grado di amare una voce o un’anima.
Corinne Cocca