“Dall’inferno.
Mr Lusk,
Signore
vi mando metà del rene che ho preso da una donna l’ho conservato per voi, l’altro pezzo l’ho fritto e l’ho mangiato, era molto buono. Potrei mandarvi il coltello insanguinato con cui l’ho tolto se solo aspettate ancora un po’
firmato
Prendetemi se ci riuscite Signor Lusk“
Questa è la trascrizione (corretta) di una delle più celebri ed inquietanti lettere attribuite alla scaltra penna ed assassina mano di Jack lo squartatore, serial killer che scrisse con il sangue il proprio nome nella Londra vittoriana. La sua lucida follia impegnò le menti della polizia ottocentesca, terrorizzò quelle dei londinesi e affascinò molti altri vissuti dopo la sua pazzia omicida.
Il fascino della follia, Jack lo squartatore: chi ha deciso di raccontarlo?
Molti hanno deciso di ispirarsi o di trattare la storia dello squartatore londinese: lo ritroviamo citato in un albo di Tex “Orrore!”, dove il protagonista è alle prese con la furia assassina di un killer che uccide prostitute o ancora nel secondo episodio “Jack lo squartatore” della serie Dylan Dog dove l’indagatore dell’incubo si trova a fronteggiare la follia di un imitatore dell’assassino.
Una completa trattazione cinematografica, invece, la possiamo ritrovare nel film diretto dai fratelli Hughes, vincitore di numerosi premi tra il 2001 ed il 2002: La vera storia di Jack lo squartatore (From Hell).
Film tratto dal romanzo a fumetti a cura di Alan Moore ed Eddie Campbell, per rubare un lessico prettamente musicale, il primo alla scenografia ed il secondo ai disegni, racconta la vera storia di Jack lo squartatore attraverso la vita e le indagini del’ispettore Abberline, interpretato da un fantastico Johnny Depp che calza come un guanto ad una gentile mano il suo ruolo.
Il suo personaggio è quanto mai affascinante, brillante, intelligente ed intuitivo legato a doppio filo alle pipe da oppio che aiuteranno il suo l’infallibile intuito a centrare il nodo caldo della vicenda.
Ed è proprio tra i vicoli umidi e fuligginosi della Londra vittoriana, con l’aiuto di un cocchiere che si limita a provvedere al trasporto del suo signore, che il serial killer nelle notti più buie consuma i propri omicidi in preda alla lucida follia: adesca dolcemente le sue vittime, sempre e solo prostitute, le lascia rilassare ed accomodare per poi inveire contro il loro collo, reciderlo quasi del tutto dalla testa con mano ferma e una lama affilata, sempre colpevole dell’estrazione e l’esportazione di una parte del corpo della vittima come fosse un trofeo.
Il consumarsi delle vicende ha origini ben più alte, che non hanno nulla a che fare con il sudiciume dei bassi borghi e dei vicoli bui ma riporta ad una realtà legata alla vita di corte, alle sette massoniche e quelle degli illuminati.
I veri attori celati nell’ombra sono i protagonisti di un mondo occulto, legato ad un abisso di orrori, pratiche ripugnanti ed oscuri segreti che finiti nelle mani sbagliate daranno vita ad una soluzione del tutto sorprendente.
Ogni personaggio inserito nella trama è un tassello di un puzzle realmente costruito dall’orrorosa storia, trovatosi malauguratamente al proprio posto nel momento sbagliato.
Ben curata la fotografia, atmosfere sempre adatte e suggestive che portano lo spettatore ad immergersi in quelle pagine di orrore realmente consumatosi.
Forte critica nei confronti di una società che per convenienza tende ad oscurare ed occultare tutto ciò che invece sarebbe in grado di far luce su verità scomode e forte critica anche ad una società, allora come ora, lontana dai problemi dei meno abbienti.
Finale inaspettato. Ci si sente come delle vittime, come se ciascuno fosse stato un po’ sgozzato e martorizzato, non proprio da un serial killer ma dalle mille lingue che presiedono i troni in alto.
Corinne Cocca