Non esiste frase che non sia musica e non esiste melodia che eviti il racconto. Queste due regine dell’arte sono sempre andate di pari passo; ora attingendo l’una al repertorio dell’altra; ora dividendosi quasi in agone. All’orchestra rispondono i versi, alle pause la cesura e all’impeto altro impeto. Orlando Furioso: quale meraviglia se esso riprende nella sua struttura questa metafora sinfonica?
Orlando Furioso: il ritmo
Nonostante la sua travagliata stesura, l’Orlando Furioso riscuote l’immediato eco del pubblico, un pubblico cortigiano, abituato al gusto della leggenda e al plauso dei nuovi valori. Grandezza suprema dell’opera è il suo saper giostrare tra la satira sfrenata e il languido ardore. Emerge, da questo dualismo, il gioco tematico e compositivo che caratterizza il poema. Si pensi al continuo vorticare dei personaggi; essi corrono in un labirinto sentimentale che li attanaglia e ferisce per poi liberarli alla gioia. Esemplare balzo è la follia dello stesso Orlando. Il delirio s’impone come sintesi dell’esperienza amorosa universale, rivelando, ugualmente, il suo brio sagace e la sua stoccata ironica.
Poi ch’allargare il freno al dolor puote
(che resta solo e senza altrui rispetto),
giù dagli occhi rigando per le gote
sparge un fiume di lacrime sul petto:
sospira e geme, e va con spesse ruote
di qua di là tutto cercando il letto;
e più duro ch’un sasso, e più pungente
che se fosse d’urtica, se lo sente.[1]
Ritmo, ritmo continuo di sofferenza e indecisione. Non a caso, in virtù del suo sospendere e ritornare, il Furioso è collocato a metà strada tra le chanson de geste e i romanzi bretoni. Realtà del sentimento e incanto del cuore, queste le pulsioni che suonano nell’opera.
Astolfo sulla luna
Altro inciso di sacro e fantastico è l’episodio di Astolfo sulla luna, apice del meraviglioso e operetta giocata su note di crudo realismo. I desideri dell’uomo, le sue pulsioni, la sua paura e le sue stesse capacità cognitive vengono ridotte a un cumulo di macerie. Eppure, questo crollo disastroso porta il sorriso al lettore, un sorriso che vien su dalla dolcezza e dagli accordi di una penna equilibrata. Rivolgendosi alla perdita di senno, al venir meno della lucidità:
Altri in amar lo perde, altri in onori,
altri in cercar, scorrendo il mar, ricchezze;
altri ne le speranze de’ signori,
altri dietro alle magiche sciocchezze;
altri in gemme, altri in opre di pittori,
ed altri in altro che più d’altro aprezze.
Di sofisti e d’astrologhi raccolto,
e di poeti ancor ve n’era molto.[2]
Antonio Vivaldi
L’oscuro novembre ammanta lo splendore della placida laguna veneziana e l’Orlando Furioso freme oltre le pagine. 1727, Antonio Vivaldi è pronto a mettere in scena la sua melodica interpretazione. Quasi a riprendere il destino delle vicende libresche, anche il dramma subisce una controversa stesura. Non mancano rifacimenti, modifiche, persino il titolo viene ridotto. Ogni verso è cristallizzato nelle gole, le corde vibrano di un frenetico movimento.
Nel profondo
cieco mondo
si precipiti la sorte
già spietata a questo cor.
Vincerà l’amor più forte
con l’aita del valor[3]
E vadano dunque a sfidarsi le arti maggiori, portino al colosseo della bellezza il loro valore. Questo nostro profondo e cieco mondo si gioverà del rosso sipario e dell’affilata piuma.
http://https://www.youtube.com/watch?v=fGc3gi8VkwA
Silvia Tortiglione
[1] Orlando Furioso; Canto XXIII, ottava 122
[2] Orlando Furioso; Canto XXXIV, ottava 85
[3] Orlando; Testo di Grazio Bracciolo_Scena V