Egon Schiele nasce a Tulln (Austria), il 12 giugno 1890. Conduce una fanciullezza tranquilla sino alla morte del padre (dirigente delle ferrovie) nel 1905, evento questo che destabilizza fortemente la sua vita e la sua famiglia, avvertendo già la necessità di assumere su di sè il ruolo della figura paterna. Nonostante il dissenso iniziale della madre e del suo tutore per la decisione di intraprendere la carriera d’artista, Egon riesce ad iscriversi alla prestigiosa Accademia di Belle arti di Vienna ad appena sedici anni.
Dimostra da subito una precoce adesione a valori diversi da quelli propugnati in seno all’ambiente accademico, vedendo in Klimt il suo vero “padre spirituale”; i suoi primi lavori risentono infatti del simbolismo raffinatamente sensuale e la predilezione per l’elemento ornamentale tutto klimtiano. Tuttavia questo non gli impedisce di allontanarsi dalle suggestioni del maestro, e maturare velocemente una propria personalissima autonomia artistica.
Il segno tracciato da Schiele è schietto e deciso, espressione di un’istintività che non riesce a trattenersi e rivendica il proprio valore; l’esperienza interiore e l’estrinsecazione delle passioni e dei turbamenti più profondi. Le sue linee trasmettono la sensazione di fragilità, di frammentazione, irregolarità, eppure, ognuna di esse è data con un tratto sicuro e controllato, da eccellente disegnatore quale era.
Nei suoi disegni colpisce la mancanza di prospettiva, la scelta di angoli visuali e vedute inconsuete, dal taglio fotografico. Solo raramente rappresentate frontalmente, gira, capovolge, e ruota le sue figure in un insolito modo d’osservazione, che le fanno apparire distorte, goffe e deformate.
Senza alcuna concessione al decorativismo o al compiacimento estetico, egli cattura il corpo umano in pose audaci, che spesso rasentano l’osceno, e mettono volutamente a nudo in modo radicale se stesso e le sue modelle. Corpi esposti senza possibilità di difesa, sezionati dal suo occhio clinico. Chiaro come in una società contrassegnata da bigottismo e ipocrisia i nudi di Schiele dovevano dare per forza fastidio, poichè non presentati in chiave mitologica e storica. Erano solo la rappresentazione schietta e spregiudicata della sua ossessione per il corpo umano.
Quando infatti nel 1911 l’artista, poco più che ventenne, si trasferisce a Krumau, l’ambiente di provincia mal vede lo stile di vita di Schiele e il suo ricorrere anche a giovanissimi modelli per i suoi studi sul nudo, al punto che verrà ingiustamente denunciato e arrestato per corruzione di minore.
La grande quantità di autoritratti testimonia che era uno dei più attenti osservatori di se stesso, bisogno narcisista, ma soprattutto desiderio di esprimere il suo io tramite la rappresentazione dei propri atteggiamenti.
Nei suoi disegni è come se egli si guardasse attraverso uno specchio deformante, presentando quasi un altro da sé, un alter ego. Magrezza estrema, pose contorte, convulsione di membra, una gestualità tra il goffo e il bizzarro, ciuffi di capelli arruffati ed elettrizzati. La colorazione del corpo non risponde ad un immagine naturale, perché travisata in vivi contrasti cromatici, così come la dimensione spaziale è annullata da uno schiacciamento tutto in superficie, dando la sensazione di galleggiamento in un luogo imprecisato.
Non soltanto disegnatore, egli si dedica anche alla realizzazione di pitture ad olio, Abbraccio (coppia d’amanti II, 1917), è forse uno dei più famosi e realizzato negli ultimissimi anni di vita. In questa opera egli raggiunge uno dei suoi momenti di più alta e drammatica sintesi espressiva. Due amanti si stringono nudi in un abbraccio che è più di disperazione che di amore, i muscoli tesi delle braccia ci danno la sensazione d’una stretta dolorosa, di quelle che preludono forse ad un addio. Intorno ai due corpi realizzati con una pittura nervosa, dai contorni esageratamente marcati, un grande lenzuolo spiegazzato, che come una sorta di scomposto campo di battaglia è quanto rimane dell’amore che fu.
Allo scoppio della Prima guerra mondiale viene chiamato alle armi ma questo non gli impedisce di ritornare spesso anche al suo atelier viennese dove continua a lavorare con impegno febbrile. Quando la guerra è quasi al suo tragico epilogo, egli partecipa con grande successo a varie mostre a Zurigo, Praga, Dresda; raggiungendo finalmente l’apice del successo tanto sperato conscio del suo valore come artista. Negli ultimi mesi del conflitto Vienna viene colpita da un’epidemia di febbre spagnola che, oltre a mietere milioni di vittime, non risparmia neppure Schiele che morirà all’età di appena 28 anni.
Marina Borrelli