Queste sono solo alcune delle frasi che rimbombano nella testa di una persona affetta da gioco d’azzardo patolologico (GAP).
Il gioco d’azzardo patologico colpisce circa un milione e trecentomila Italiani, ovvero quasi il 2.5% della popolazione. Non si pensi che sia una percentuale insignificante e che non ci riguardi: sempre secondo fonti ufficiali una persona su due, tra i diciotto e i settantaquattro anni, ha giocato d’azzardo almeno una volta negli ultimi dodici mesi. Significa quasi ventiquattro milioni di individui, oltre il 54% degli abitanti del nostro Paese. Significa anche, da considerazioni prettamente statistiche, che se non l’hai fatto tu è stato chi ti sta accanto in questo momento.
In Italia il centro del gioco d’azzardo è Pavia, e lo ribadisce il dottor Gabriele Zanardi del dipartimento di Sanità Pubblica, Medicina Sperimentale e Forense dell’Università di Pavia:“Se quasi la metà degli esercenti della mia città ha nel negozio almeno una slot significa che la domanda, cioè la richiesta di giocare d’azzardo è elevata”.
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Quando è che una persona è affetta da gioco d’azzardo patologico?
Il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali definisce il gioco d’azzardo patologico come persistente e ricorrente comportamento problematico che provoca difficoltà o disagio clinicamente significativi, come indicato da un soggetto che, nell’arco di un periodo di 12 mesi, presenta quattro o più tra i seguenti comportamenti:
- Ha bisogno di quantità di denaro sempre superiori per arrivare all’euforia e all’eccitazione desiderate.
- Se prova ad eliminare, diminuire o quantomeno controllare questo comportamento diventa irritabile e irrequieto.
- Ne è eccessivamente assorbito e ciò determina persistenti pensieri di rievocare esperienze passate, di soppesare o programmare l’azzardo successivo, di pensare ai modi per procurarsi denaro con cui giocare.
- Mente per occultare l’entità del proprio coinvolgimento e ciò determina la messa a repentaglio degli affetti familiari, delle questioni lavorative etc.
Possiamo quindi considerare il gioco d’azzardo patologico come una dipendenza?
Assolutamente sì, ma con una differenza importante rispetto alle sostanze che hanno un effetto psicotropo: in con il gioco d’azzardo si tratta di dipendenza da comportamento. In molti casi inoltre i soggetti presentano più dipendenze, cioè chi gioca d’azzardo è anche soggetto al vizio del fumo o del bere.
Da un punto di vista neurologico, semplificando il concetto, il comportamento umano si basa su due fattori: il drive che è coinvolto nelle sensazioni di piacere e il controller, che modula il comportamento innescato dal drive a seconda delle convenzioni sociali. Nella persona affetta da gioco d’azzardo patologico gli elementi che scatenano il drive sono l’eccitazione per la vincita, l’evasione dai problemi quotidiani, la fuga dalla solitudine (bisogna ricordare che il giocatore patologico non è emarginato come il tossicodipendente, bensì è socialmente accettato). Tutti questi fattori accrescono il drive e finiscono per inibire il controller. E’ a questo punto che scatta la dipendenza patologica, e ciò determina la convinzione che la vittoria sia a portata di mano, anche se statisticamente improbabile.
Cosa fa finire sul lastrico un giocatore d’azzardo patologico?
I meccanismi sono molteplici. Innanzitutto i suoni hanno un forte impatto sulla psiche del giocatore, che è spinto a continuare anche a causa della musica intermittente e dal suono delle monete. Bisogna considerare poi l’effetto della “quasi vincita“, effetto da non sottovalutare assolutamente. E’ stato infatti dimostrato che i centri del piacere nel cervello di persona affetta da gioco d’azzardo patologico si accendono maggiormente quando ci si avvicina al Jackpot ma non lo si raggiunge, piuttosto che quando invece vi è una vincita. La quasi vincita per il giocatore d’azzardo è più eccitante della vincita stessa.
E’ possibile curare questa dipendenza?
Come spiegato in precedenza questa è sicuramente una dipendenza diversa rispetto a quella causata da sostanze psicotrope, quindi agire da per via farmacologica, eccetto in situazioni in cui il paziente è affetto da stati depressivi e ansiogeni, è sconsigliato. Il metodo più utilizzato al momento è quello della terapia cognitivo-comportamentale e dei gruppi di autoaiuto, ma molto spesso dietro alla patologia si nascondono problemi comportamentali risalenti all’infanzia, che difficilmente riescono ad essere corretti.
Christian Nardelli