James Taylor: Before this world, l’inatteso ritorno
Ci speravano in tanti, ma ormai, a tredici anni da October Road, ci credevano in pochi. E invece James Taylor, classe ’48, leggenda vivente del folk statunitense e mondiale, è tornato lo scorso 16 giugno con Before this world, diciassettesimo album di inediti a partire dal lontano 1968, anno in cui esordì con il disco eponimo.
Vincitore di cinque Grammy Awards, con oltre cento milioni di album venduti e quaranta dischi d’oro, è uno dei più genuini rappresentanti di quel cantautorato “confessionale”, sincero ed intimista, che fece scuola negli anni ’70 (Jackson Browne, Jim Croce).
Recentemente lo abbiamo visto in Italia (sei date a Torino, Roma, Firenze, Trieste, Padova e Milano, tra il 18 e il 25 aprile).
Prodotto per la Concord Records con la supervisione di Dave O’Donnell, Before this World contiene dieci brani che l’artista ha registrato con musicisti di primissimo livello, quali il chitarrista Michael Landau (che ha collaborato, tra gli italiani, con Vasco Rossi, Laura Pausini, Eros Ramazzotti), il percussionista Luis Conte (già a lavoro con Pat Metheny, Madonna, Phil Collins, Roger Watson) o il batterista Steve Gadd (già con Eric Clapton, Paul McCartney, Al Di Meola, Pino Daniele, Chick Corea, Paul Simon, Al Jarreau).
James Taylor si è avvalso, inoltre, della collaborazione di Sting (che compare nei cori della titletrack) e di Yo-Yo Ma, violoncellista cinese presente in You and I again e Before this World. Ritroviamo, ancora, le voci di Caroline “Kim” Smedvig, terza moglie di James Taylor, e del loro figlio Henry nei brani Angels of Fenway e Wild Mountain Thyme.
Di seguito la tracklist completa:
1. Today Today Today (3:09)
2. You And I Again (3:53)
3. Angels Of Fenway (3:18)
4. Stretch Of The Highway (5:32)
5. Montana (3:26)
6. Watchin’ Over Me (4:07)
7. SnowTime (5:48)
8. Before This World / Jolly Springtime (5:34)
9. Far Afghanistan (4:04)
10. Wild Mountain Thyme (2:57)
Before This World, una recensione
Il nuovo lavoro di James Taylor si apre con il country di Today Today Today, un invito a vivere con pienezza nonché ad affrontare il futuro e lo scorrere del tempo senza paura, in cui il cantautore recita: “In qualche modo sono riuscito a non morire“. E proseguendo con l’ascolto non gli si può che dare ragione!
Taylor, infatti, è sempre l’immenso artista di un tempo, uguale a come lo si ricordava, immediatamente riconoscibile fin dalle prime note, che si configurano come un porto familiare e sicuro nel quale sedersi ad osservare il mare, con il vento tra i capelli. Uno stile unico, inconfondibile, ma mai stanco e ripetitivo.
Si prosegue con una dolcissima ballad, You and I again, dedicata alla moglie Caroline (come poteva Taylor non amare una donna il cui nome rievoca la Carolina?), scandita da un pianoforte e da un emozionante violoncello. Una classica canzone d’amore à la Taylor, con tutta la classe che da sempre lo contraddistingue.
La seguente Angels of Fenway è una canzone di nostalgia e ricordi, altra specialità di Taylor. In questo caso ci si riferisce all’amore giovanile per i Red Sox, squadra di baseball di Boston, la cui passione fu trasmessa al cantautore dalla nonna. Si evoca Fenway Park, il più antico stadio d’America, popolato di cori solenni.
Si passa poi al rhythm & blues di Strecth of the highway, scandita da cori eccezionali e da un altrettanto intenso comparto di fiati. Brano lungo, cosa un po’ insolita per Taylor: eppure la canzone scorre piacevole, avvolgente, senza annoiare.
Con Montana ci si rituffa direttamente nel Taylor anni ’70, quello che cantava della natura, della sua bellezza e della vita da strada (celebrata perfettamente, in quegli anni, da Country Road). Molto evidenti, inoltre, i richiami ad un’altra vecchia hit, Sweet Baby James. La voce di Taylor è calda ed avvolgente ora come allora, negli anni nulla ha perso del suo fascino, e gli arpeggi in stile fingerpicking emozionano come poco altro e come quelli di pochi altri, forse nessuno.
Agli anni ’70 e alla loro delicatezza ci riporta anche Snowtime, brano che riflette sull’emigrazione, sulla lontananza, sul sentirsi freddi, come il gelo pungente di Toronto nel mese di dicembre. Evidentissimi i richiami a Mexico, ottenuti con ritmi latini.
Nella titletrack Taylor parla agli agnostici, e nella seconda parte della canzone omaggia il folk britannico, rievocando atmosfere che fanno pensare, su tutti, ai Fairport Convention. Altro delicatissimo tuffo nel tempo.
Wild Mountains Thyme, in chiusura, è un’altra meravigliosa ballad di fingerpicking, serena, pacata, sognante. Taylor, come pochi altri, è riuscito sempre a fare della musica un assoluto strumento di conforto e pacificazione.
Leggermente inferiori i due brani rimanenti, seppur molto intensi nei testi. Far Afghanistan raccolta di un soldato mandato in guerra dopo i fatti dell’11 settembre 2001, colpito dalla bellezza di quei luoghi mentre Watchin’ Over Me ricorda il duro periodo in cui Taylor cadde nel vortice dell’eroina.
Nel complesso un album straordinario, l’ennesimo di una lunghissima serie. Taylor si conferma un maestro assoluto nel costruire melodie ed armonie sempre interessanti e vincenti. I restanti musicisti interpretano il tutto con classe eccelsa.
Cosa aggiungere? Altri cento di questi dischi, per un autore che ha ancora tantissimo da dire!
Roberto Guardi