Maurizio Cattelan è forse il più noto e insieme sfuggente degli artisti italiani contemporanei.
Tra Milano e New York, Venezia e Amsterdam, Londra e Vienna, si impongono le sue opere più famose e controverse, da Papa Wojtyla colpito da un meteorite, a Hitler trasformato in un inerme bambino che prega in ginocchio con gli occhi gonfi e languidi, dai tre bambini impiccati appesi in una piazza di Milano e subito rimossi, al provocatorio ditone medio esposto davanti a piazza Affari, alle numerose installazioni che vedono come protagonista gli animali con sentimenti e difetti umani, malinconici e deprimenti. Dopo gli animali ha preso di mira se stesso, facendo autoritratti: eccolo ora appeso a un attaccapanni con il vestito di feltro del famoso artista tedesco Joseph Beuys, ora invece farsi piccolissimo e appollaiato in cima a una libreria; ancora moltiplicando il proprio volto in tante mascherine, che intitola Spermini.
Le sue opere suscitano ogni volta un acceso dibattito tanto nel mondo dell’arte che in quello dell’opinione pubblica. C’è chi lo ritiene uno dei più luminosi geni dell’arte contemporanea e chi invece lo giudica solo un provocatore volgare e furbo. Diversi i tentativi inutili di ascrivere questo artista a una corrente o a un gruppo. Nonostante le stroncature da parte della critica, queste non trovano alcuna rispondenza nel mercato dell’arte. Oggi è considerato come uno degli artisti italiani più quotati al mondo, capace di competere in termini di quotazioni, fama e critica con i più famosi artisti internazionali.
Cattelan nasce a Padova nel 1960 in una famiglia non benestante, dove di arte neppure si parlava. Inizia a lavorare sin da giovane (per poter essere indipendente e allontanarsi dalla famiglia), fin quando non si licenzia dal suo ultimo impiego ripromettendosi di non lavorare mai più per nessuno, ma soprattutto per liberarsi della necessità di lavorare per sopravvivere.
Comincia ad interessarsi all’arte, a guardarla con curiosità, e davanti una mostra di Michelangelo Pistoletto, Cattelan ha una specie di rivelazione: diventare un artista. Si trasferisce a Forlì, e quasi per pura necessità di occupare il tempo inizia a fabbricare oggetti e mobili dalle forme strane, fatte a mano. Milano alla fine degli anni Ottanta era la capitale del design, creativa, vitale e la più predisposta a prender sul serio anche le cose più stravaganti, decide quindi di stabilirvisi e iniziare una carriera da designer. Questa è una fase di transizione in cui continuando a costruire mobili viene invitato a partecipare alle prime mostre collettive, che lo portano a migrare nel giro di qualche anno, progressivamente, verso il mondo dell’arte.
Un mondo però che non l’ha mai pienamente accettato perché come dice Francesco Bonami, dando voce a Cattelan nel suo libro Autobiografia non autorizzata (2011), l’artista non è mai stato veramente battezzato dalla critica militante, ma considerato un “peccatore”, “una frode a due gambe”, insomma un abusivo senza licenza di artista.
La prima occasione che lo porta alla massiccia attenzione del pubblico, anche a livello internazionale, è la partecipazione alla mostra “Aperto’93” alla Biennale di Venezia nella quale però, sotto pressione e in mancanza di idee, finisce per vendere il proprio spazio ad una ditta che voleva testare il lancio di un nuovo profumo (anche se poi lo firma e lo intitola come un’opera normale: Lavorare è un brutto mestiere).
Nel 1992 attraversa l’oceano e sbarca a New York. A distanza di diciotto anni dalla sua prima fallimentare mostra nella Grande Mela (un grande lampadario di cristallo e un asino vivo nella giovane galleria di Daniel Newburg), la stessa città lo avrebbe celebrato in uno dei templi dell’arte moderna, il Guggenheim, in una grandiosa retrospettiva intitolata “All”.
Tuttavia proprio alla vigilia della definitiva consacrazione mondiale, Cattelan annuncia il suo ritiro dalle scene. Strategia mediatica o vero timore di ripetersi?
Intanto l’attenzione su di lui non si è mai spenta, e l’artista ha continuato a lanciarsi in ulteriori progetti: direttore di irriverenti magazine come “Permanent Food”, “Charley” e l’ultima “Toilet Paper” (progetto condiviso con il fotografo Pierpaolo Ferrari, insieme al quale, in occasione dell’inaugurazione della 56esima Esposizione internazionale d’arte di Venezia, ha riprodotto in una scultura gonfiabile alta 6 m., il cactus, icona di Gufram, noto brand italiano d’arredamento, per farlo sfilare a bordo di una piccola imbarcazione nei canali di Venezia); curatore di mostre, l’ultima “Shit and Die” durante Artissima di Torino, e soprattutto la Biennale di Berlino nel 2006; gallerista non solo dello spazio alternativo “The Wrong Gallery” ma anche di “Family Business”, entrambe a New York.
Capire chi sia davvero Maurizio Cattelan è difficile, lui si limita ad affermare: “Sono il tipo di persona a cui piace avere la possibilità di calcare la scena, ma che poi, in fin dei conti, preferisce non avvalersi di questa possibilità e restare dietro le quinte. Sono un uomo ossessionato dall’immagine. Lo so, non è un granché come definizione, però è quella che rende meglio l’idea!”
Fonti bibliografiche:
Bonami F., Maurizio Cattelan, Autobiografia non autorizzata, Mondadori, 2011
Cattelan M., Grenier C., Un salto nel vuoto, la mia vita fuori dalle cornici, Rizzoli, 2011
Marina Borrelli