Il 4 giugno 1989, a Pechino, si consumava ai danni del cosiddetto movimento di Tienanmen uno dei massacri più tristemente noti degli ultimi trent’anni. Folle di studenti, intellettuali e semplici cittadini si erano riversate nel centro della capitale cinese già da svariate settimane per protestare contro il governo dell’epoca, guidato da Li Peng e ufficiosamente influenzato dal vecchio leader Deng Xiaoping. Il risultato fu una repressione spietata che lasciò un numero non quantificabile di vittime e fece sì che al nome di piazza Tienanmen, una delle più importanti della Cina, venisse associato per sempre un ricordo luttuoso.
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Antefatti di piazza Tienanmen
Le proteste di Tienanmen traevano spunto dalla morte di un personaggio molto amato dai riformisti cinesi, Hu Yaobang, il quale aveva in passato ricoperto la carica prima di Presidente e in seguito di Segretario Generale del Partito Comunista Cinese.
Egli si trovava su posizioni più morbide rispetto a molti suoi compagni di partito: si era a lungo dilungato sulla necessità di favorire una maggiore libertà di stampa e di espressione all’interno del Paese, aveva agito a favore di una maggiore autonomia del Tibet e aveva favorito la riabilitazione di molti personaggi infamati durante gli anni della Rivoluzione Culturale.
Non fu soltanto questo, tuttavia, a renderlo un simbolo del movimento riformista: egli, destituito dalla sua carica di Segretario Generale nel 1987, era visto dagli oppositori al regime come una vittima di Deng, il quale aveva effettuato una sofisticatissima operazione di “pulizia” all’interno dello stato maggiore del PCC, eliminando tutti i personaggi non perfettamente aderenti alla sua linea politica.
All’indomani della morte di Hu, il movimento riformista cinese organizzò una serie di iniziative pacifiche per chiedere al governo in carica di prendere una posizione precisa su tale figura. I giornali, tuttavia, riportarono notizie del tutto fasulle in merito all’entità dei contatti tra manifestanti e governo, parlando di scontri violenti e, di conseguenza, inasprendo le comunicazioni tra le parti.
E’ necessario sottolineare che i giornali, in Cina, hanno un ruolo diverso da quello che i media ricoprono in Europa o negli Stati Uniti. Le agenzie di stampa, infatti, sono subordinate al controllo del Consiglio di Stato e la testata più importante, il Renmin Ribao o Quotidiano del Popolo, è un organo ufficiale del Comitato Centrale del PCC. Ciò significa che, senza parlare in maniera banale di controllo occulto della stampa (il che aiuterebbe ben poco a comprendere la situazione cinese), una parte consistente dei giornali cinesi ha, in modo del tutto ufficiale e riconosciuto, il ruolo di portavoce del governo.
Detto ciò, per quale motivo vennero pubblicate notizie del genere? Perché il governo dell’epoca temeva che i manifestanti (successivamente noti come “rivoltosi di Tienanmen, dal nome della piazza in cui si assediarono) fossero in qualche modo fomentati/organizzati dalle forze del mondo capitalista estero, che, approfittando del momento storico favorevole (l’URSS era ormai al tramonto, e con essa gli altri regimi comunisti europei), avrebbero potuto tentare un’azione destabilizzatrice in Cina.
Le proteste
I botta e risposta tra manifestanti e giornali culminarono nella protesta del 4 maggio, data simbolica per la cultura contemporanea cinese (il 4 maggio di settant’anni prima simili ondate di proteste avevano sconvolto svariate città della Cina, dando il via a una nuova era sotto il profilo politico e culturale). I manifestanti chiedevano una maggiore libertà di espressione, pluralismo e democrazia, ed erano sostenuti da un rappresentante dello stesso governo cinese, Zhao Ziyang.
A seguito di una breve tregua, il 13 maggio alcuni studenti si insediarono a Piazza Tienanmen, accusando il governo di corruzione e chiedendo riforme democratiche. Alcuni iniziarono uno sciopero della fame. Zhao Ziyang, in un celebre discorso, tentò di dissuadere gli studenti dalla prosecuzione dello sciopero della fame, avendo fiducia nella possibilità di trovare un accordo col governo. Gli studenti non gli diedero ascolto.
Zhao pagò a caro prezzo il proprio sostegno agli studenti: dopo aver votato contro la legge marziale proposta dal governo ed essersi presentato in piazza con gli studenti, venne arrestato e condannato ai domiciliari a vita, terminando la propria carriera politica.
Il massacro
Nella notte tra il 3 giugno e il 4 giugno 1989, a seguito di un ordine del governo (probabilmente scaturito da una decisione di Deng) l’esercito si preparò all’attacco e, a partire dalle 10 circa del mattino, aprì il fuoco sui manifestanti. Il giorno prima le autorità avevano annunciato il coprifuoco per il giorno successivo, ma ogni tentativo fu vano: la città era gremita di gente e le vittime furono moltissime. La definizione di “massacro di Tienanmen”, tuttavia, è fuorviante: le rappresaglie si svolsero in tutta la città e non soltanto in quel luogo, che rimase relativamente pacifico.
Vennero diffuse alcune voci sulla possibilità che fossero stati i rappresentanti del movimento di Tienanmen ad avere attaccato per primi, benché le prove non forniscano alcuna evidenza di tali affermazioni.
Una dura campagna repressiva seguì il sangue sparso in quelle giornate, con la persecuzione, l’incarcerazione, la condanna a morte o l’esilio, volontario o involontario, di molti tra i protagonisti delle proteste di Tienanmen rimasti ancora in vita dopo gli attacchi (tra cui la celebre Chai Ling, fuggita negli Stati Uniti, dove risiede tutt’ora).
L’eco delle proteste arrivò istantaneamente all’estero: moltissimi reporter erano presenti sul posto e sono di giornalisti occidentali le foto e le riprese più emozionanti di quei giorni, prime fra tutte quelle che ritrassero il celebre Rivoltoso Sconosciuto, un ragazzo che si parò di fronte a una fila di carri armati per fermarne l’avanzata e parlare con i soldati che erano all’interno.
Le notizie provenienti da Pechino scatenarono un’ondata di indignazione in tutto il mondo. Gli Stati Uniti d’America, da allora, si rifiutano di esportare tecnologie duali verso la Cina.
Il rapporto del governo attuale con Tienanmen
Benché la Cina sia stata in qualche modo “riabilitata”, il governo attuale si rifiuta categoricamente di parlare della questione o di diffondere dati. Ogni anno, allo scoccare dell’anniversario, esso esercita un profondo controllo sulla rete, sui media, sui cinesi all’estero e sui dissidenti per evitare che il fantasma di piazza Tiananmen torni a turbare la prosperità di questo momento storico.
Francesca Salvati
http://www.britannica.com/EBchecked/topic/594820/Tiananmen-Square-incident