Una storia vera, conosciuto anche con il titolo originale The straight story, è un film che si ispira realmente ad una storia vera, non come la storia vera di Fargo dei Coen, frutto del loro spirito giocoso e comico. Una storia vera nasce infatti da un’idea di Mary Sweeney, produttrice e collaboratrice di Lynch, che dopo aver letto un articolo sul New York Times dove si raccontava di un anziano signore che aveva deciso di andare a trovare il fratello nientemeno che attraverso un piccolo tagliaerba, decise di affidare il progetto proprio al visionario regista americano. Nasceva così un road movie insolito per diversi motivi: innanzitutto perché la storia trattata è piuttosto singolare, trattandosi di un mezzo di trasporto davvero insolito per un viaggio, del resto chi poteva trattare di un viaggio del genere se non David Lynch; inoltre questo è l’unico lungometraggio che ad una visione di massima, si distacca da quello stile onirico, surreale, angoscioso, conosciuto nei registri cinematografici come lynchiano, anche se la sua mano è sempre riconoscibile.
Nel film, presentato al 52° Festival di Cannes nel 1999, ritroviamo un veterano di Hollywood, ovvero Richard Farnsworth, uno stuntman e attore statunitense, che nonostante le sue abilità recitative, era sempre rimasto legato all’immagine di stuntman, grazie al film di Lynch divenne poi noto al grande pubblico (nominaton all’Oscar come miglior attore), venendo pian piano riscoperto. All’interno del cast troviamo Sissy Spacek e due fedelissimi di Lynch: Harry Dean Stanton ed Everet McGill.
Una storia vera, la trama
Nell’estate nel 1994 a Laurens, Alvin Straight (Richard Farnsworth), che vive con la figlia Rose (Sissy Spacek), si sta riprendendo da una brutta caduta quando viene a sapere che suo fratello Lyle (Harry Dean Stanton), con il quale non si parla da anni, ha avuto un brutto infarto. Alvin decide così di far pace col fratello, prima che sia troppo tardi e che il tempo porti via questa possibilità. Così, nonostante la sua stessa cattiva salute, parte per un lungo viaggio attraverso l’America con un semplice tagliaerba, unico mezzo che può trasportare non avendo la patente. Durante il suo viaggio incontrerà gente che renderanno speciale il suo viaggio, passando da una ragazza incinta scappata di casa al guasto del tagliaerba che lo porterà a passare un breve periodo in un luogo accogliente, fino ad arrivare all’incontro con il sacerdote che è ultimo incontro rilevante prima della fine di questo viaggio.
Un’opera poetica poco lynchiana
Quando Una storia vera fu presentato per la prima volta a Cannes destò molta curiosità sia tra i critici sia tra i fan di David Lynch, tutti si chiedevano quanto avesse di lynchiano il film e soprattutto se avesse funzionato un cambiamento di rotta del genere; ebbene Lynch superò non solo la sfida con se stesso, dimostrando di poter realizzare un grande film anche senza utilizzare il suo classico marchio di fabbrica, ma riuscì anche a convincere tutti i fan, che ad oggi, considerano Una storia vera uno dei film meglio riusciti di Lynch. Questa storia raccontata dal regista americano, ci mostra un bellissimo paesaggio che contiene un’umanità affascinante, a contatto con una natura pacifica e solare, descrivendo la vita così com’è, cioè nella sua semplicità, una semplicità fatta di litigi, tristezze, rancori e voglia di voltare pagine. Ancora una volta è la provincia americana ad interessare a Lynch, che in questo mantiene un legame con il suo modo di fare. In realtà si creano anche alcune situazioni che in universi paralleli avrebbero potuto dare vita a storie surreali tipicamente lynchiane (come la donna che investe sempre lo stesso cervo), ma appunto vengono solo sfiorate, perché ciò che conta è il viaggio intrapreso da Alvin.
Sarà la sua semplicità, la sua lentezza o la pacatezza di Alvin Straight, ma Una storia vera è un film che colpisce diritto al cuore e commuove, senza pretese di dover dare insegnamenti sul senso della vecchiaia e di come questa sia contrapposta alla gioventù, se si vuol parlare d’insegnamento, ciò che questa storia vuole dirci è che le distanze esistono, ma possono essere annullate solo se vissute realmente. Il viaggio di Alvin Straight viene accompagnato dalle musiche di Angelo Badalamenti, compositore feticcio di David Lynch, che conferiscono al viaggio quell’atmosfera poetica e anche un po’ malinconica percepibile durante il film. I dialoghi non cadono mai nel banale e quando questi sembrano diventare pomposi o retorici, vengono pronunciati sempre al momento giusto, del resto questo è un film in cui i silenzi, le contemplazioni e soprattutto i gesti e gli sguardi prevalgono sulle parole e l’incontro tra i fratelli rappresenta il trionfo del sentimento autentico del legame indissolubile tra i due, un incontro che non ha bisogno di tante parole se non di due sguardi che si incontrano e si rivolgono alle stelle, in ricordo dell’infanzia.
Roberto Carli