Semonide di Amorgo, poeta vissuto intorno alla seconda metà del VII secolo a.C. e della cui vita si hanno scarse notizie, fu l’iniziatore dell’ εἰϰάζειν, l’arte del paragonare. Semonide inaugura tale tecnica delineando una galleria di dieci tipi femminili, i quali rappresentavano, secondo lui, l’archetipo di tutte le donne esistenti: tutti eccetto due traggono origine dal mondo animale.
Per la ferrea critica che conduce contro le donne, Semonide è stato tacciato di misoginia, ma si deve tener conto che si tratta di tematiche e forme di intrattenimento per simposi, e dunque, per un pubblico esclusivamente maschile che trovava diletto in tali componimenti giambici. Mentre la misoginia ha antecedenti in Esiodo, il quale con il mito di Pandora esprime un duro verdetto nei confronti del genere femminile (“grave malanno per il mortale“), è più antica la tradizione che vede la donna discendente dall’animale, risalente addirittura alle popolazioni tribali.
Donne animali? Semonide contro le donne
Il frammento 7 w è il lungo giambo di 118 versi per il quali Semonide è rinomato. Dieci ritratti femminili, di cui solo uno positivo: la donna-scrofa, sporca, avida e sciatta; la donna-volpe, furba, impicciona e perfida; la donna-cagna, curiosa, chiacchierona e bisbetica; la donna di terra, non è né buona né cattiva ma inerte e inutile, sa solo mangiare; la donna di mare, ora buona ora cattiva, volubile e imprevedibile; la donna-asina, che si lascia guidare a fatica e si accoppia facilmente; la donna-donnola, a cui piace l’amore ma che disgusta gli uomini; la donna-cavalla, che fa tutto controvoglia, schizzinosa e vanitosa; la donna-scimmia, brutta, derisa da tutti e astuta nel male, la donna-ape, laboriosa, economa, devota alla famiglia, piena di grazia.
Giove la mente de le donne e l’indole
in principio formò di vario genere.
Fe’ tra le altre una donna in su la tempera
del ciacco; e le sue robe tra le polvere
per casa, ruzzolando, si calpestano.
Mai non si lava né ‘l corpo né l’abito
ma nel sozzume impingua e si rivoltola.
Formò da l’empia volpe un’altra femmina,
che d’ogni cosa, o buona o mala o siasi
quel che tu vogli, è dotta; un modo un
animo
non serba; e parte ha buone e parte
pessima
Ma la donna ch’a l’ape è somiglievole
beato è chi l’ottien, che d’ogni biasimo
sola è disciolta, e seco ride e prospera
la mortal vita. In carità reciproca,
poi che bella e gentil prole crearono,
ambo i consorti dolcemente invecchiano.
Splende fra tutte, e la circonda e seguita
non so qual garbo; né con le altre è solita
goder di novellari osceni e fetidi.
(Traduzione di Leopardi del 1823)
A mia moglie: ritratti animaleschi di Saba
“Non si tratta di sensualità animalesca, forse nemmeno di sensualità, in nessun caso di sola sensualità” Umberto Saba
Umberto Saba (1883-1957), poeta di Trieste, nel suo Canzoniere, raccolta che comprende la produzione degli anni 1990-1945, inserisce il componimento “A mia moglie“, dedicato alla moglie Lina, paragonata, sulla scia tracciata dal poeta greco, a sei femmine di animali. Riportiamo i vv 1-14 della prima strofa:
Tu sei come una giovane,
una bianca pollastra.
Le si arruffano al vento
le piume, il collo china
per bere, e in terra raspa;
ma, nell’andare, ha il lento
tuo passo di regina,
ed incede sull’erba
pettoruta e superba.
È migliore del maschio .
È come sono tutte
le femmine di tutti
i sereni animali
che avvicinano a Dio [..]
Le strofe si snodano proponendo una serie di paragoni, uniformemente introdotti tra loro tramite anafora (“Tu sei come“), fra la moglie del poeta ed esemplari femminili di animali diversi tra loro, suggerendo atteggiamenti e gesti precisi che lasciano intravedere specifiche qualità fisiche e morali.
La gallina (vv. 1-24) simboleggia l’atteggiamento talvolta arruffato talvolta regale; la giovenca (vv. 25-37) indica la maternità giovane e festosta; la cagna (vv. 38-52) rappresenta fedeltà, feroce gelosia; la coniglia (vv. 53-68) esprime la vulnerabilità, la rondine (vv. 69-76) allude all’allegra spensieratezza; la formica (vv. 77-87) raffigura la laboriosità.
“Se un bambino potesse sposare e scrivere una poesia su sua moglie scriverebbe questa” dirà l’autore di questo componimento, e inoltre:
La poesia fa pensare piuttosto, come abbiamo detto, all’infanzia, a un improvviso ritorno all’infanzia; un ritorno che non esclude però la contemporanea presenza dell’uomo. Il poeta, come il fanciullo, ama gli animali, che per la semplicità e la nudità della loro vita, ben più degli uomini, obbligati da necessità sociali e continui infingimenti, avvicinano a Dio, alle verità cioè che si possono leggere nel libro aperto della creazione.
Secondo il giudizio di Portinari:
Questa moglie non è soltanto un infantile e delizioso trattato di zoologia comparata o di scienze naturali: è un ricettario di salute naturale, è la salute ritrovata della natura
Montale e “Mosca”: la forza di un amore cieco
Il poeta genovese Eugenio Montale (1896-1981) dal 1939 prese prima come compagna e poi come moglie Drusilla Tanzi, che soprannominò “Mosca” per la sua forte miopia che la costringeva ad indossare occhiali dai vetri molto spessi. Nonostante ciò, ella per lui fu una vera e propria guida a cui affidarsi benché con le sue “pupille tanto offuscate“, proprio come quelle dell’insetto, aveva un’innata capacità di orientamento in un mondo dilaniato tra brandelli di speranza e strascichi di delusione come quello del secondo dopoguerra.
Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
Non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.
Anna Cioffi