Crizia! Nome non molto amato dall’Atene di fine V secolo a.C. in quanto il nostro amico fu uno dei principali esponenti dei famosi Trenta Tiranni che presero Atene dopo la sconfitta nella guerra del Peloponneso; ma, d’altra parte, il duro esperimento antidemocratico ebbe vita breve. Non voglio parlarvi del regime dei Trenta ma di un frammento estratto dal dramma satiresco Sisifo.
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Crizia anticipa Hobbes
Sì, potremmo intitolare tranquillamente così i primi righi del brano di Crizia; andiamo con ordine e partiamo dunque dal principio (letteralmente):
Un tempo vi fu quando senz’ordine era la vita umana e bestiale e serva della forza, quando non c’era premio per i buoni né quindi si davano castighi ai malvagi. In seguito penso che gli uomini abbiano emanate leggi per punire, affinché la giustizia sia sovrana <di tutti al pari> e consideri schiava l’insolenza. Ed era castigato chiunque errasse. [1]
Un tempo… ai malvagi: qui Crizia sta descrivendo una situazione primigenia, uno stato di natura, dove prevalgono la forza bruta e la discordia, dove il più forte è sempre vincitore sul più debole e dove chiunque può agire come meglio crede. Per approfondire questo concetto dovremo aspettare il secolo XVII con l’opera di Thomas Hobbes che parla di uno stato di natura in cui la fanno da padrone forza e violenza.
In seguito… errasse: la legge va qui a contrapporsi, in Crizia, alla natura; il νόμος (nòmos, una delle traduzioni possibili è “legge”) interviene a regolare i rapporti tra gli uomini ed a distribuire punizioni e premi secondo necessità. La giustizia, dunque, considera tutti alla pari e ritiene che l’insolenza (ύβρις, la cui traslitterazione è hybris) vada punita.
L’invenzione degli dèi secondo Crizia
Queste prime righe preparano il terreno all’argomentazione di Crizia secondo cui gli dèi non sarebbero altro che una creazione umana; vediamo in che termini:
Quindi, poiché le leggi impedivano loro di commettere delitti palesi con violenza, ma occultamente agivano, allora io credo che per la prima volta un uomo astuto e saggio nella mente inventò per gli uomini il terrore <degli dèi>, perché i tristi [i malvagi, NdR] temessero anche per ciò che in modo occulto compissero o dicessero o pensassero. Quindi introdusse il divino (…) che con forza percettiva ode e vede, attuando una volontà e reggendo il tutto, avendo perennemente in sé natura divina: questa forza demoniaca udrà quanto fra gli uomini si dice e vedere potrà ogni loro azione. Se mala impresa tu mediti in silenzio, non sfuggirà agli dèi, perché capacità percettiva <sta negli dèi>. [2]
Perché gli uomini rispettano la legge solo pubblicamente? O, meglio, quando sanno di essere osservati? Perché, invece, in privato trasgrediscono? Seguite il ragionamento. Se esiste uno stato di natura primigenio ed originale, dove la legge non esiste, allora suddetta legge è una creazione umana che, ovviamente, non esisteva prima di venir creata; può sembrare una banalità ma così non è in quanto, accettando il postulato di Crizia, l’uomo, secondo la propria natura, non è portato a comportarsi onestamente e saggiamente nei confronti degli altri ma tenderà sempre a voler prevaricare, a voler ottenere con la forza quanto desidera.
Grave affermazione questa, probabilmente specchio del tempo caotico e critico in cui operava e agiva il Nostro; la domanda, però, sorge spontanea: noi agiamo rettamente per paura di una punizione o per rispetto verso gli altri e verso ciò che è giusto per il bene della comunità? Sono sicuro che, cominciando a porre questa domanda in stile Socrate alle persone, ci sentiremmo rispondere che, certo, si agisce bene perché è “moralmente giusto“, perché “bisogna rispettare gli altri“; ma è così per tutti? Proseguiamo, che è meglio.
La religione come instrumentum regni
Stando così le cose, Crizia afferma che “un uomo astuto e saggio nella mente” (il legislatore, il νομοθέτης, nomotètes) inventò, letteralmente, gli dèi per instillare il terrore negli uomini; tenete conto che il legislatore era visto come ispirato dagli dèi e non ispiratore di essi. In sostanza, Crizia sovverte la figura del νομοθέτης che non è più eccellentissimo tra gli uomini per volontà divina ma per una propria capacità umana, addirittura per un inganno; a fin di bene, necessario forse, ma pur sempre un inganno. Ecco che la legge s’introduce nel privato mediante l’espediente del divino che tutto ode, anche i pensieri più reconditi e nascosti della mente umana. Anche quando non si è visti, il dio vigila ed è pronto a castigare chi compie o dice o pensa qualcosa di sbagliato.
Crizia non fu certo il primo a mettere criticamente in discussione il divino ma il concetto di religione come instrumentum regni (strumento di governo) è dovuto al suddetto; con ragionamento sofistico – che poi Crizia fu antisofista perché perseguitò i sofisti duramente durante il proprio governo – Crizia ci dimostra l’estremizzazione cui si era giunti nell’Atene di fine V secolo. Non possiamo, attualmente, comprendere appieno il significato di questa posizione perché – ma d’altra parte vale anche per lo stesso Crizia e per i suoi contemporanei – siamo nati in un’epoca ove vige la civiltà; che poi sul termine “civiltà” potremmo scrivere, e sono stati scritti, fiumi di inchiostro è un’altro discorso. Sta di fatto che l’ipotesi che si agisca correttamente solo per paura di una punizione – umana o divina che sia – è disarmante; l’uomo sarebbe semplicemente un essere che, se scatenato (privato di catene, di vincoli, di leggi) potrebbe essere capace delle peggiori nefandezze? Se mai dovesse ripresentarsi un apocalittico stato di natura, allora magari le parole di Crizia e di Hobbes risulterebbero profetiche e vedremo nascere “uomini” somiglianti più a bestie che a esseri civilizzati.
Ma forse già sono noti alla storia uomini simili.
Luigi Santoro
Fonti
Fonte citazioni [1], [2]: Crizia, Sisifo, fr. 25, trad. A. Battegazzore, in M. Untersteiner, Sofisti, Testimonianze e frammenti, La Nuova Italia, Firenze, 1962, vol. IV in Il Testo Filosofico I, di F. Cioffi
Per approfondimenti sulla vita di Crizia: F. Cioffi, Il Testo Filosofico I, Bruno Mondadori