Cultura pagana e cristianesimo nel Medioevo

Il 476 d.c. è l’anno in cui l’impero romano termina la sua parabola per cedere il passo al Medioevo. In questo passaggio cruciale, cosa succede alle testimonianze scritte del mondo antico? Di fronte ad una situazione drammatica, in cui il sapere dei classici è a repentaglio, un ruolo importante è giocato dal Cristianesimo nel Medioevo. È proprio la Chiesa a garantire la sopravvivenza della lingua e della cosiddetta cultura pagana, attraverso il lavoro compiuto dai copisti nei monasteri. Questi trascrivono a mano versi e prose del mondo romano, garantendone così la conservazione e la trasmissione nei secoli.

Chi vuole difendersi dall’errore,

deve studiare e applicarsi

ad iniziare una gravosa impresa:

così può allontanarsi dal male

ed evitare un grande dolore.

(Maria di Francia – Prologo ai “Lais”)

Ma questo processo porta i cristiani dotti ad assumere anche atteggiamenti diversi. Da un lato c’è chi subisce il fascino delle lettere definite “profane”, dall’altro c’è chi invece le condanna a priori in quanto emblema di un pensiero lontano dal dogma cristiano e quindi facile via per il peccato. Vediamo allora come, nel passaggio dal mondo antico al medioevo, vari autori e pensatori cristiani si pongano nei confronti della letteratura classica e partiamo proprio da uno dei suoi maggiori “accusatori”: S. Girolamo.

La cultura pagana è la via del peccato: Girolamo

cultura classica
Jusepe “José” de Ribera – San Girolamo scrivente (1651)

Quella di Girolamo, uno dei padri della chiesa, è sicuramente la posizione più inflessibile nei confronti della cosiddetta cultura pagana. Pur non possedendo l’estremismo di autori come Tertulliano e tendendo a recuperare i valori della latinità, Girolamo assume comunque atteggiamenti contradittori nei confronti dei testi pagani. Un buon esempio è rappresentato dall’epistola del 383 destinata al pontefice Damaso I.

Son cibo del diavolo i carmi dei poeti, la sapienza profana, la pompa dei discorsi retorici. Questi dilettano con la loro dolcezza e mentre rendono intento l’orecchio alla gradevole melodia dei versi fluenti, penetrano anche l’anima e vincono l’intimo cuore. Ma quando siano stati letti e riletti con somma attenzione e faticoso studio, null’altro lasciano ai lettori se non vacua sonorità e rumor di parole. Non c’è in essi alcuna sostanza di verità, non ci si trova alcun supporto di giustizia. Chi li studia resta con fame di verità e penuria di virtù.

Girolamo non ha dubbi: la cultura pagana è nient’altro che vacua e menzognera eleganza. Il cristiano che si lascia catturare dall’armonia sintattica delle orazioni o dalla candida sensualità dei carmi, non troverà mai nulla che possa dargli insegnamento. Risulta inutile anche sviscerare in profondità tali testi, poiché sono espressioni di un mondo estraneo al messaggio di Cristo e quindi arma che torna utile al maligno per corrompere le anime dei fedeli e quelle degli stessi vescovi.

(…) Ma ora vediamo anche i sacerdoti di Dio che, messi da parte i Vangeli e i profeti, leggono commedie, cantano le parole sensuali dei versi bucolici e stanno attaccati a Virgilio, rendendo ciò che nei bambini è una necessità(1), un peccato commesso volontariamente.

Del resto lo stesso Girolamo subisce il fascino della cultura pagana. In un’altra lettera  (quella rivolta al vescovo S.Eustochio) afferma che gli sia comparso Dio in sogno, il quale lo ammonisce con questa frase: “Ciceronianus es, non Christianus! (“Ciceroniano sei, non Cristiano!”).

Il “sacro furto” di Agostino

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S. Agostino raffigurato in una minatura tratta da un codice inglese (XII-XIII sec.)

Leggermente diverso è il discorso, se si osserva la posizione di S. Agostino d’Ippona. Nel secondo libro del De doctrina Christiana il vescovo romano si interroga su come il cristiano debba approcciarsi alla variegata cultura pagana. Ecco la sua risposta:

(…)Gli Egizi non avevano solo idoli che il popolo di Israele detestava, ma anche molte cose preziose (…) che Israele fuggendo dall’Egitto rivendicò a sé per un uso migliore e ciò fece non per autorità propria ma su comando di Dio, poiché gli stessi egiziani erano inconsapevoli e non usavano bene ciò che avevano. Così se è vero che le dottrine dei pagani contengono elementi falsi e superstiziosi (…), è anche vero che le discipline liberali sono adattabili all’uso della verità e esistono, sempre fra i pagani, utilissimi precetti morali.

Diversamente da quanto affermava Girolamo, Agostino non demonizza tutta la cultura pagana. Anzi, pensa che vi si possano trovare concetti e valori utili per la mentalità cristiana, a patto che vengano imbevuti del messaggio di Cristo.

Il sacro furto nei confronti della cultura pagana si rivela allora necessario, in quanto viene filtrato sotto la lente dell’allegoria. I testi vanno studiati ed interpretati, allo scopo di ricavarne un significato ed un insegnamento utili alla dottrina cristiana. Ecco perché ebbe fortuna l’interpretazione cristiana della IV egloga delle Bucoliche di Virgilio: l’annuncio della nascita di un “puer” portatore di una nuova età dell’oro è stato visto come annuncio della nascita di Cristo (e alcuni studiosi ritengono che questo sia uno dei motivi per cui Dante scelga il poeta augusteo come sua guida nella Commedia).

L’apertura verso la cultura pagana: Gregorio Magno, Chretién de Troyes e Maria di Francia

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S. Gregorio Magno (540 – 604)

La necessità di caratterizzare il cristianesimo di una propria dottrina non toglie che, nel passaggio da età antica a medioevo, ci sia anche chi vede nei testi pagani una fonte inesauribile di insegnamenti, come afferma Gregorio Magno. Nelle Esposizioni sul libro I dei Re il primo pontefice di Roma mostra un’apertura più netta nei confronti della cultura pagana, il cui studio è visto come propeudetico a quello delle sacre scritture.

Lo studio dei libri profani, (…) quando sia congiunto allo studio delle Sacre Scritture ha per effetto una più penetrante conoscenza delle Scritture stesse. Perciò appunto si devono apprendere le arti liberali: per conseguire attraverso il loro studio preparatorio una più penetrante intelligenza della parola divina.

Ma non è solo il mondo filosofico/dottrinale a porsi a confronto con la cultura pagana. Se spostiamo la nostra attenzione sul piano puramente letterario, notiamo che non sono pochi gli autori che attingono dal materiale narrativo del mondo antico.

Se diamo un’occhiata ai primi romanzi francesi notiamo che non sono altro che riadattamenti in lingua volgare di poemi e racconti mitologici e storici dell’antichità: abbiamo così il Roman d’Alexandre (sulle vicende di Alessandro Magno), il Roman d’Eneas (dall’Eneide di Virgilio) e il Roman de Brut. Quest’ultimo, attribuito ad un chierico conosciuto come Wace, narra delle imprese di Brut, un pronipote di Enea che migrò dal Lazio alla Gran Bretagna, giustificando così le origini dei monarchi bretoni. Ma il romanzo introduce per la prima volta temi cari alla letteratura cavalleresca, come il mito della Tavola Rotonda e di re Artù.

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Assieme a Virgilio, Ovidio fu uno degli autori antichi maggiormente presi in considerazione nel medioevo. In alcuni componimenti delle “Metamorfosi”, infatti, descrive un unico Dio come creatore dell’universo.

Anche Chrétien de Troyes rappresenta un buon esempio per il nostro discorso. Nell’introduzione del romanzo Cligés, l’autore elenca tutte le opere che ha scritto fino a quel momento (1176): oltre ai celebri romanzi cavallereschi, Chrétien afferma che si è anche dedicato ad alcune traduzioni dallArs Amatoria di Ovidio e a un poemetto sul mito di Progne e Filomela dal titolo La metamorfosi dell’upupa, della rondine e dell’usignolo. L’importanza di questo dato è fondamentale, poiché ci fa capire che il materiale narrativo dell’epoca antica godeva di certa fama nel medioevo, che fosse filtrato o meno dall’ottica cristiana.

Infine, poniamo anche l’esempio di Maria di Francia e dei suoi Lais (XII sec.). Nel prologo di quest’opera, l’autrice si ricollega all’esigenza agostiniana di studiare e sviscerare fino a fondo i testi degli antichi.

(…)

Era costume degli antichi,

stando alla testimonianza di Prisciano(2),

nei libri che facevano a quel tempo,

esprimersi con grande oscurità

affinché i posteri

che dovevano studiarli

potessero glossarne il testo

e arricchirli dell’ingegno acquisto.

(…)

C’è però un elemento importante che sembra allontanare Maria da Agostino. Gli antichi non vanno studiati per trasportare i loro messaggi dal mondo pagano a quello cristiano, addirittura essi stessi avrebbero sigillato con linguaggio oscuro dei determinati messaggi che poi sarebbero stati decifrati da coloro che sarebbero venuti dopo di loro.

(…)

I filosofi lo sapevano,

essi stessi capivano

che, col passar del tempo,

il senso dei loro scritti sarebbe apparso più sottile

e meglio si sarebbero salvati

dalla caducità del tempo.

(…)

Medioevo e cultura pagana: tra disprezzo e attrazione

L’età di mezzo si pone quindi con un attaggiamento bipolare nei confronti della cultura pagana. Nell’elaborazione della dottrina cristiana e nella sua difesa è naturale che questa venga vista come contenitore di messaggi svianti e “diabolici” per il fedele che li legge.

Ma è anche vero che, seppur sotto il filtro della visione cristiana, la cultura pagana continua a vivere attraverso le trascrizioni dei testi effettuate dai monaci nei monasteri, ma anche attraverso la bocca dei giullari che narrano (nelle corti o nelle piazze) storie di mondi e tempi lontani che attraggono qualche curioso.

La vera e propria riscoperta dei classici avverrà solo con Francesco Petrarca e il suo ideale dialogo con gli autori dell’antichità, preludio di quello che sarà conosciuto come umanesimo.

Ciro Gianluigi Barbato

Note

(1) I bambini leggevano i testi degli antichi per imparare il latino. Solo per questo scopo lo studio degli autori classici era consentito.

(2) Prisciano era un grammatico del VI secolo d.c. .Nel medioevo la sua Institutio de arte grammatica rappresenta il modello cardine per lo studio della grammatica.

Bibliografia

Gian Mario Anselmi, Loredanma Chines, Elisabetta Menetti – Tempi e immagini della letteratura (dalle origini a Dante) – Edizioni scolastiche Bruno Mondadori.

Michel Zink – La letteratura francese del Medioevo – Il Mulino.

Maria di Francia – Lais ( a cura di Giovanna Angeli) – Carocci editore.