L’esordio internazionale di Tarkovskij tra premi e polemiche
Quando la Mosfil’m nel 1961, sottrasse al giovane Abalov la regia del racconto di Bogolomov, dal quale sarebbe poi stato tratto l’infanzia di Ivan, affidandolo al giovane Andrej Tarkovskij, nessuno avrebbe immaginato che ciò portasse al riconoscimento internazionale di un genio nascente, di un giovane che stava già cambiando la storia del cinema, proponendo un’arte nuova, malinconica, ermetica, riflessiva, intimista.
L’infanzia di Ivan, che riscuoterà un’enorme successo, vincendo il Leone d’oro al miglior film al Festival di Venezia, scatenò un’ondata internazionale di polemiche tra i critici comunisti e della sinistra mondiale: per la prima volta infatti, un regista sovietico presentava la visione di un’artista come indipendente dai bisogni del collettivo. Era solo l’inizio dei tanti problemi con il regime sovietico che Tarkovskij dovette affrontare per tutta la vita, provocandogli molte sofferenze e momenti improvvisi di nostalghia.
L’infanzia di Ivan, la trama
È la seconda guerra mondiale. Sul fronte orientale lungo il fiume Dnepr il dodicenne Ivan, un ragazzino che ha perso la famiglia per mano tedesca, dopo essersi unito ai partigiani, si unisce poi all’esercito sovietico per combattere gli invasori tedeschi. Egli infatti, prova un odio profondo per i tedeschi perché gli hanno brutalmente ucciso la madre, della quale il ragazzino ne ha un costante ricordo. Il colonnello Grjaznov e il capitano Kholin si prendono cura di Ivan. I due, conoscendo l’animo di Ivan e consci delle sue grandi abilità nel muoversi inosservato oltre le linee nemiche per raccogliere informazioni utili all’Armata Rossa, lo rendono partecipe alla guerra utilizzandolo come informatore. Il colonnello Grjaznov, però, vorrebbe allontanare il ragazzo dal fronte e mandarlo alla scuola militare per poterlo proteggere, ma Ivan è deciso a rimanere in prima linea, convinto che solo i vigliacchi e gli invalidi non partecipino alla guerra.
La guerra attraverso gli occhi di un ragazzino esule dall’infanzia
L’infanzia di Ivan non è solo il titolo del film, ma l’infanzia è ciò che Ivan ha realmente perduto. Un’infanzia portata via dalla guerra, che ha portato alla morte della mamma del giovane e l’ha allontanato dai suoi luoghi natii, ma all’infanzia si è sostituita la guerra e il sentimento che anima coloro che sono chiamati a partecipare allo spettacolo dell’umanità duellante.
Ma all’infanzia non si può rinunciare, essa è una fase della vita di ogni uomo e se la cruda violenza della realtà può oscurarla, lo stesso non può avvenire lontano dalla realtà, dove Ivan continua a viverla attraverso sogni, flashback e momenti di fantasticheria, ricordando scene di vita con la mamma accadute o che sarebbero potute accadere e immaginando e ancora sognando giochi felici con altri bambini.
Ivan dunque, di fronte all’orrore della storia, ritrova la propria individualità, ciò che lo contraddistingue in quanto uomo in una determinata fase della vita. Da parte sua Tarkvoskij, per rendere al meglio lo smarrimento interiore del giovane Ivan, si serve di una serie di abili movimenti di camera con cambi di angolature e soggettive.
L’infanzia di Ivan è quindi un’opera asciutta, semplice, o comunque meno ermetica rispetto ai successivi lavori del regista sovietico. È profonda, onirica, poetica, ma può essere anche considerata un manifesto antimilitarista, essa infatti, nell’alternarsi di scene di riflessione e analisi psicologica, non rinuncia al crudo realismo della guerra e alle sue conseguenze tragiche.
Un film da vedere assolutamente, che per i suoi modi di esprimere certi messaggi e contenuti, può essere considerato accessibile a tutti. Un’opera che ci permette di capire un po’ di quell’immenso seppur piccolo universo interpretativo che è il cinema di Andrej Arsen’evic Tarkvoskij.
Roberto Carli