Sant’Eligio: no alla violenza sulle donne

Ebbene sì: l’arco di Sant’Eligio Maggiore di Napoli è forse il più antico esempio di giustizia contro la violenza sulle donne. Parliamo di una leggenda che Benedetto Croce chiama “Leggenda della Giustizia esemplare”.

La Chiesa di Sant’Eligio

Sant'Eligio
M. Zampella – Sant’Eligio

La Chiesa di Sant’Eligio, in stile gotico, è la più antica dell’epoca angioina, essendo stata costruita nel 1270 nel centro storico della città, a ridosso della zona del mercato.

Fu costruita per volere di tre francesi appartenenti alla corte di Carlo I d’Angiò, Giovanni Dottun, Guglielmo di Borgogna e Giovanni de Lions e inizialmente, la struttura, affiancata anche da un ospedale, fu dedicata a Sant’Eligio, San Dionisio e San Martino. L’arco della chiesa (su cui c’è il famoso Orologio di Sant’Eligio) fu poi restaurato dagli aragonesi: infatti reca lo stemma aragonese nella chiave della volta.

Nel XVI secolo il vicerè Don Pedro de Toledo ne fece un educandato femminile che chiamò Conservatorio per le vergini, dove le ragazze venivano educate ed avviate all’attività infermieristica nell’ospedale.

La leggenda…verso i simboli di Sant’Eligio

La leggenda che ci porta a scoprire simboli, forse finora inosservati, del complesso di Sant’Eligio, ci è raccontata da Benedetto Croce, seguendo un fatto storico narrato nella Historia di Napoli del Summonte.

Intorno al 1500, Antonello Caracciolo, un duca napoletano titolare di un feudo in Calabria, si innamorò perdutamente di una giovane vergine, sua vassalla, di nome Irene Malerbi.

Il duca non riusciva in alcun modo a vincere le resistenze dell’onesta giovane, e così fece imprigionare il padre di lei, accusandolo ingiustamente di omicidio.
A questo punto Croce ci dice che:

Accorsa la figliuola con la madre a implorare pietà, non liberò l’uomo se non quando la fanciulla si fu arresa alle sue voglie».

Questa frase allude al fatto che la fanciulla abbia dovuto subire la violenza del duca prima che il padre fosse liberato. Il povero padre si avviò a Napoli con sua figlia per domandare giustizia a Isabella d’Aragona, che allora reggeva il regno, mentre suo zio Federico era in guerra.

Isabella d’Aragona e la giustizia esemplare

Sant'Eligio
Piazza Mercato. Antonio Joli.

Isabella d’Aragona, udito e accertato il fatto, «commossa da grave sdegno», subito mandò uomini a cercare il reo in Calabria. Il duca si nascondeva e così la sovrana «mandò a disfare le case dei Caracciolo in Napoli, e già si era cominciato ad abbattere un loro palazzo di fronte ai gradini del duomo, quando il reo venne consegnato».
Isabella costrinse il duca a sposare la giovane, ma solo per “sistemarla” e “risarcirla” con il suo denaro, perché lui venne fatto decapitare subito dopo. Il matrimonio e la decapitazione del duca avvennero a piazza Mercato.

Il simbolo indelebile nell’arco di Sant’Eligio e storie affini

Sant'Eligio
L’arco di Sant’Eligio

Affinché l’episodio restasse nella memoria delle genti, le teste dei due giovani sposi, l’uomo violento e la donna vittima, furono scolpite in marmo bianco sopra l’arco dell’orologio di Sant’Eligio, al fianco del campanile dell’antica chiesa. Agli angoli inferiori dell’orologio si possono vedere in due «circoletti» concavi due teste di marmo per ciascun lato: l’una virile e barbuta, l’altra femminile.

L’aneddoto è narrato anche nella nota compilazione manoscritta di Successi tragici e amorosi, eseguita tra il ‘500 e il ‘600, che riporta le stesse parole del Summonte, aggiungendo solo il particolare che Antonello Caracciolo sarebbe stato precisamente signore della terra di Melicucca in Calabria.
Tuttavia, ci sono dei dubbi riguardo ad alcune informazioni: pare che Isabella d’Aragona non fosse stata lei reggente di Napoli, in assenza di Federico, bensì la moglie di questi, Isabella del Balzo. Inoltre, non sembra vero che ai Caracciolo appartenesse Melicucca.

Queste imprecisioni però non mettono in discussione la leggenda, o almeno che ci sia stata davvero una storia del genere tramandata oralmente. Ad esempio, la riparazione col matrimonio che non risparmia il supplizio, è data dallo Heutero come fatto storico, accaduto nelle Fiandre al tempo di Carlo il Temerario. In altri testi, invece, si parla di un simile caso accaduto nel 1547, in cui il reo sarebbe stato un capitano spagnolo, la donna vittima degli abusi sarebbe venuta da Como e il signore giustiziere sarebbe stato un Gonzaga, duca di Ferrara.

In El mejor alcalde el Rey di Lope de Vega, che segue l’antica cronaca di Spagna, similmente il re Alfonso VII di Castiglia condanna don Tello, reo di violenza alla giovane contadina Elvira.
Infine, la stessa leggenda si riflette in una canzone romanza portoghese che si intitola Justiça de Deus, nella quale si parla di una pellegrina violentata da un conte, la quale si reca a San Jacopo di Galizia, scortata da un vecchio soldato, per chiedere giustizia al re. Il re sentenzia che il conte sposi la donna o venga decapitato. Il conte preferisce la morte alle (per lui) “disonorevoli” nozze, ma il vecchio soldato, che era san Jacopo travestito, mostrò la sua vera identità al re e chiese:

Fazeis, bom rei, má justiça,
mau feito tendes julgado:
primeiro casar com ella,
e depois ser degolado:
lavase a honra com sangue,
mas não se lava o peccado…

San Jacopo, cioè, chiese al re di celebrare prima le nozze e poi di giustiziare l’uomo, specificando però che con il sangue si può lavare l’onore, ma non il peccato.
Il re acconsentì, san Jacopo celebra il matrimonio, ma prima che giunga il carnefice a eseguire la decapitazione, il conte casca a terra morto (proprio per questo la canzone si intitola “Giustizia di Dio”).

La conclusione di questi racconti è che, si tratti di storia o di leggenda, il messaggio è chiaro ed è ancora più forte soprattutto perché è antico: tutte le generazioni e i popoli di ogni epoca condannano la violenza sulle donne.
Questa è una parabola di giustizia: oggi non c’è la decapitazione in Italia (e non è di certo consono), né la donna ha bisogno di essere sposata per poter essere onorata e riconosciuta di nuovo in società (fortunatamente); ma esiste il carcere per i violentatori e i centri di accoglienza per le donne vittime di violenza.

Le donne hanno ancora bisogno di “giustizieri” fin quando gli uomini non impareranno a rispettarle.

Raffaela De Vivo

Bibliografia:

B. CROCE, Storie e leggende napoletane, Adelphi edizioni, Milano, 2013.

Sitografia:

http://www.napoligrafia.it/monumenti/chiese/maggiori/eligio/eligio01.htm