Senilità è termine insolito per dire vecchiaia. È parola poco usata al limite massimo tra la delicatezza e l’ironia, quando si voglia zuccherare l’amara parola “vecchio” o quando la si voglia puntigliosamente intensificare. Senilità è condizione fisica e biologica, ma – perché no? – psichica ed emozionale.
Imbriglia, incastra, invischia in una inerzia reticolata, stretta e appiccicosa.
Senilità, la trama e i personaggi
Ben lo sa Emilio Brentani, protagonista del secondo romanzo di Italo Svevo che porta il titolo – guarda un po’ – essenziale e lapidario di Senilità. Pubblicato nel 1898, tristemente ignorato dalla critica e ristampato soltanto nel 1927 in una seconda edizione che finalmente lo consacrerà al meritato successo letterario, Senilità è non casualmente posto al centro tra i due romanzi fondamentali del corpus dell’autore e della nostra letteratura del Novecento, Una vita e La coscienza di Zeno.
Emilio, trentacinquenne triestino, piccolo borghese con velleità letterarie, vive due vite. Una squallida triste e grigia tra le mura di uno squallido triste e grigio appartamento condiviso con la sorella-madre Amalia, una di finta, fintissima spensieratezza costruita a tavolino nei suoi vividi sogni e nelle sue perfette illusioni.
In questa seconda vita è l’uomo forte e disimpegnato che quando incontra Angiolina, bionda, bella, gli occhi chiari, crepitanti, e il sorriso abbagliante, è sicuro di poter gestire la sua relazione con lei a proprio piacimento. Farla sua, godere della sua bellezza, della sua compagnia, del suo corpo, delle sue risate cristalline, godere, godere come in realtà Emilio non sa fare, così dilaniato tra il piacere che intensamente vorrebbe riuscire a sfiorare e la sua terrificante inettitudine che lo avviluppa in una serie di elucubrazioni astruse e pseudo-psicanalitiche.
Sua sorella Amalia è nata, ha vissuto e vive nel grigiore opprimente dei giorni passati a prendersi cura di Emilio e della loro casa, e matura una dolcezza di frutto marcito tra le mura di un appartamento che non le lascia spazio per le fantasie.
Personaggi speculari a Emilio e Amalia sono rispettivamente lo scultore Stefano Balli, amico del Brentani, e la stessa Angiolina.
Stefano è in fondo anche lui un bambino immaturo, egoista, ma la differenza tra il suo infantilismo prepotente e quello capriccioso di Emilio sta nel suo modo perfettamente coerente e inattaccabile di fingersi l’uomo di successo, in amore e nel lavoro, che corrisponde al suo ideale di uomo realizzato.
Amare più donne, o meglio sedurle, scolpire il loro lato più nascosto nella freddezza del marmo, pur intimamente consapevole della mediocrità del suo talento, è la chiave della sua apparente e fragilissima felicità.
Angiolina è forse, nei suoi mille difetti, l’unico personaggio che si salva dalla morsa spaventosa dell’inettitudine. Bugiarda, vanitosa, capricciosa, opportunista, ben lontana dalla donna che Emilio, non riuscendo a vedere in alcun modo la realtà senza deformarla, aveva angelicato nell’immagine di purezza e di dolcezza che confluiva nel suo ideale femminile, trasfigurato inconsciamente nella persona di sua sorella Amalia.
E Amalia stessa, quando l’amore entrerà prepotente coi suoi colori nel grigiore di casa, si abbandonerà finalmente, del tutto liberata dalle sue repressioni, al circolo terribile e vizioso di fantasie e di illusioni. Finirà per innamorarsi del Balli, lei, unica donna che lo spietato seduttore mai s’era riproposto di sedurre, e triste, tristissima la sua vita si avvierà verso una fine pietosa, squallida come sempre era stata.
L’ironia dell’autore e la struttura circolare del romanzo
I quattro personaggi e le bugie che dicono e ridicono a sé stessi e tentano di dire anche ai lettori vengono spietatamente punti dall’ironia acuta di Svevo.
L’autore cerca la complicità di chi legge, cerca – e vi riesce – di lasciar emergere con commenti velati o – piuttosto – con una esagerazione esasperata dei comportamenti dei personaggi la loro incapacità di essere obiettivi sulla vita che vivono.
Il finale amaro non sarà un vero finale. Da un punto di vista narrativo, forse, esso può considerarsi tale, ma da un punto di vista più profondo, evolutivo, morale, esso coincide chiaramente con l’inizio. La struttura del romanzo nella sua essenza più profonda è sicuramente circolare.
Inetto sin dalle prime parole, Emilio sarà inetto fino alle ultime, niente imparerà dalla storia che ha segnato la sua vita, non giungerà ad un evoluzione né ad una involuzione.
Fermo, paralizzato come era sempre stato. Soltanto, adesso, più consapevole della sua incapacità di stare al mondo e di viverlo appieno.
Come un vecchio, anticipatamente vecchio, che ancora giovane guarda al passato come un mondo finto di ricordi piacevoli e trova finalmente un’apparenza di quiete nella libertà tutta senile di non dover più dimostrare agli altri e a sé stesso di saper godere della vita.
Beatrice Morra