Uno dei testi biblici più celebri universalmente è il libro della Genesi, ed al suo interno una delle scene più famose, indelebilmente impressa nell’immaginario collettivo, è quella che vede coinvolti dei protagonisti insoliti: Dio, un albero, un serpente ed una coppia. Due strani alberi si trovano nel giardino di Genesi, l‘albero della conoscenza del bene e del male e l’albero della vita: scopriamo che cosa significano!
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Genesi: un albero secolare!
L’episodio in questione è noto comunemente come la storia del cosiddetto peccato originale. La narrazione del secondo e del terzo capitolo di Genesi però, non può essere considerata come un mero cappello introduttivo ad una affermazione dogmatica. Il brano merita infatti un’attenta analisi: la sua apparente semplicità nasconde una grande ricchezza di significati non immediatamente percepibili.
La complessità del testo non è dovuta all’intenzione dell’autore umano che lo ha prodotto. L’agiografo voleva sicuramente essere molto chiaro nella sua narrazione, non era sua intenzione redigere un testo enigmatico e misterioso. Il motivo di questa discrepanza è da ricercare nei 2500 anni circa che ci separano dalla stesura definitiva del libro. L’Autore proviene da un contesto culturale profondamente diverso dal nostro: ogni termine utilizzato ha una sua storia, un suo retroterra semantico tanto fondamentale quanto per noi non evidente.
Prendiamo in considerazione qui un solo elemento dell’intero brano, l’ albero della conoscenza del bene e del male, attraverso cui però diventa possibile accedere al senso di tutto il racconto.
Albero o alberi?
Così recita Genesi 2, 8-9
Poi il Signore Dio piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi collocò l’uomo che aveva plasmato. Il Signore Dio fece germogliare dal suolo ogni sorta di alberi graditi alla vista e buoni da mangiare, e l’albero della vita in mezzo al giardino e l’albero della conoscenza del bene e del male.
Due alberi si distinguono in particolare fra tutti: l’albero della vita e l’albero della conoscenza del bene e del male. È chiaro che essi rivestono un significato simbolico e non sono solo parte della vegetazione. Un indizio evidente viene già dalla loro ubicazione. Il testo appena visto pone l’albero della vita nel mezzo del giardino, ma basta proseguire di pochi versetti la lettura e questa affermazione è subito smentita. Nel versetto terzo e ventiduesimo del capitolo successivo viene detto esplicitamente il contrario: qui è l’albero della conoscenza del bene e del male ad essere posto al centro del giardino.
La ricerca della soluzione degli enigmi di Genesi ha spesso condotto a degli errori di carattere metodologico. Le acquisizioni scientifiche degli ultimi 150 anni in ambito archeologico, teologico e linguistico hanno permesso nuovi interessanti sviluppi per la comprensione del testo. Vedere nel testo degli enigmi da decifrare, significa già non averlo compreso. Una mentalità investigativa di tipo occidentale che si approccia al testo alla stregua di un giallo da risolvere non può che fraintendere una narrazione del Vicino Oriente Antico.
In essa prevale un linguaggio dinamico, ricco di simbolismo che male si accorda con la logica causale ed oggettiva del lettore odierno. Inoltre è fondamentale capire a quale modello letterario l’Autore si ispiri per riuscire ad intendere il messaggio che voleva comunicare. La struttura di Genesi 2-3 segue una dinamica relazionale: essa è un intreccio narrativo che ricalca un vero e proprio modello a cui l’Agiografo fa riferimento. Individuare e comprendere la traccia che il narratore segue significa poter accedere al significato del brano.
Un albero nascosto?
Prima di chiarire il ruolo svolto nel brano dall’albero della conoscenza del bene e del male e dall’albero della vita, nonché il senso del racconto intero, mostriamo un esempio di fraintendimento del testo.
Paul Humbert sceglie di seguire la prima indicazione che Genesi offre a discapito di quelle fornite poi: per Lui è l’albero della vita ad essere posto in mezzo al giardino e non l’albero della conoscenza del bene e del male. Questa posizione lo costringe a spiegare l’evidente incongruenza del racconto (l’uomo e la donna persuasi dal serpente si nutrono dell’albero in mezzo al giardino… cioè l’albero della conoscenza del bene e del male, mentre l’albero della vita resta intatto). Secondo Humbert l’albero della vita era sì in mezzo al giardino, ma… nascosto! Proprio per questo non riuscirono a mangiarne.
La spiegazione fantasiosa dell’Autore mostra come l’incomprensione della logica narrativa dell’Agiografo conduca ad elaborare ipotesi indebite che portano ad evidenti forzature del testo.
1 albero + 1 albero = 1 albero
Per comprendere il brano bisogna accostarsi al linguaggio orientale dell’Autore, intuitivo e figurato, abbandonando, ai fini dell’interpretazione, una logica matematica computativa qui del tutto fuorviante.
I due alberi menzionati dal testo sono in realtà un unico albero in quanto albero simbolico. Essi rimandano entrambi a delle prerogative divine, a Dio stesso quindi, in quanto fonte della vita (l’albero della vita) e suo senso ultimo (l’albero della conoscenza del bene e del male).
L’uomo e la donna, ingannati dal serpente, tentano di sovvertire la disparità irriducibile che caratterizza la loro relazione con Dio. Questa impresa, secondo il brano, fallisce però ancor prima di iniziare: la condizione di creaturalità, di relatività dell’uomo nei confronti di Dio è qualcosa di oggettivo ed indisponibile.
La conquista dell’albero del bene e del male è solo illusoria: essa conduce al disagio di scoprirsi nudi, vulnerabili. Biblicamente infatti, la libertà è relazionalità: libero è colui che vive nella relazione e ne rispetta le esigenze intrinseche. Una libertà che manipoli arbitrariamente l’ordine del bene e del male distrugge la relazione e perde se stessa, il proprio orizzonte vitale.
L’albero della vita: politica e diplomazia internazionali
Il tentativo di attentare all’albero della vita e cioè di sostituirsi a Dio come donatore e sorgente di vita non è nemmeno preso in considerazione: l’albero della vita resta inaccessibile.
Il testo espone questo contenuto narrando l’espulsione dell’uomo e della donna dal giardino di Eden per scongiurare questa eventualità. Il giardino in Genesi è uno spazio relazionale: esso simboleggia la pienezza di vita che l’uomo può sperimentare se rimane nella relazione con Dio che lo vivifica.
Violando le esigenze connaturali della relazione, amore e fedeltà, il giardino come spazio relazionale viene meno. Sapendo leggere la simbologia orientale, il testo non parla di un’espulsione e di una condanna a morte come pena per la trasgressione, ma di un’auto-espulsione.
È l’uomo a sottrarsi alle esigenze della relazione e quindi alla pienezza del giardino mentre Dio cerca di ricostituire questo spazio relazionale attraverso il dono della Grazia.
Il testo comunica questo messaggio sottolineando che Adamo è espulso ad Oriente, ovvero verso il luogo della vita secondo la simbologia orientale, se invece l’Autore avesse voluto intendere un’espulsione come condanna, la direzione sarebbe stata occidente.
Il modello relazionale che fa da trama all’intero racconto è tratto dall’ambito della sfera politico-diplomatica internazionale del Vicino Oriente Antico. L’Autore di Genesi 2-3 pensa la relazione Dio-uomo secondo i rapporti di vassallaggio che l’impero ittita o assiro era solito instaurare con i regni confinanti.
Come la relazione fra il signore e il suo vassallo era bilaterale ma non paritaria, allo stesso modo viene immaginata la relazione tra Dio e l’uomo: i ruoli relazionali non possono essere invertiti. Avendo compreso lo schema seguito dall’Autore, il testo diventa eloquente.
Come i trattati di vassallaggio includevano delle condanne per il partner inadempiente, così allo stesso modo in Genesi troviamo la minaccia di morte per aver trasgredito il comando di non mangiare dell’albero.
Quindi non si tratta di una condanna imputabile all’arbitrio divino, ma di una caratteristica dello schema narrativo adottato. Infatti, seguendo Genesi, Adamo vivrà ancora centinaia di anni dopo aver mangiato dell’albero. La morte che la condanna simboleggiava era la morte relazionale, l’amicizia e la fedeltà che l’uomo sottrae a Dio e che Dio continua però ad offrire.
Christian Sabbatini
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