In un articolo precedente abbiamo spiegato in cosa consistesse l’ Ἐνθυσιασμός (entusiàsmos) con le relative testimonianze in Democrito e Platone: un dono divino avente il potere di travolgere, con grado diverso, i poeti, coloro che ne recitano i versi, e coloro che li ascoltano (da ricordare che la poesia greca è strettamente legata all’oralità). Esso fa la sua comparsa già agli albori della poesia, quando nell’ambito dell’epica sia Omero sia Esiodo fanno ricorso alle Muse e all’ispirazione che da loro deriva per intonare i loro canti. Figure molto ricorrenti nella mitologia greca, le Muse sono identificate come vere e proprie divinità, e in età ellenistica si standardizza anche il campo d’azione di ciascuna di loro.
I poemi omerici e la Musa
“In questo mestiere di poetare non è la calda ispirazione che crea l’idea felice, ma l’idea felice che crea il calore ispirato” (Cesare Pavese)
Pare che in origine le Muse fossero tre, ma è nella Teogonia di Esiodo che raggiungono il numero nove. Ed è a loro che i poeti si rivolgeranno per avere l’ispirazione.
Omero fa ricorso alle Muse nell’incipit dell’Iliade, dove si legge:
Canta, o dea [theá], l’ira d’ Achille Pelide, rovinosa, che infiniti dolori inflisse agli Achei… ( Omero, Iliade, I-1)
Analizzando bene il testo, osserviamo che il soggetto di “canta” è la Musa, non il poeta. Egli è come invasato dalla divinità che ha il potere di stravolgere la coscienza degli uomini, e attraverso questo stato di “possessione” è la divinità stessa a parlare, sotto spoglie umane. Tale connubio ha origini antichissime, che si perdono nei meandri del tempo e che può avere anche risvolti negativi per gli uomini nel caso di possessioni demoniache. Platone, però, associa il fenomeno dell’entusiamos soprattutto all’esperienza poetica, e gli esempi si sprecano.
Parimenti nel proemio dell’Odissea, infatti, si legge:
Narrami o Musa [Moûsa], dell’ eroe multiforme, che tanto vagò, dopo che distrusse la città sacra di Troia (Omero, Odissea, I,1-2)
Omero ricorre nuovamente alle Muse, le figlie di Zeus e della memoria (Mnemosine) per far sì che gli rammentino il catalogo delle navi greche:
Ditemi adesso, o Muse, che abitate l’ Olimpo – voi, dee, che siete sempre presenti, tutto sapete, noi la fama ascoltiamo ma nulla vedemmo – quali erano i capi e i guidatori dei Danai; la folla io non dirò, non chiamerò per nome, nemmeno s’ io dieci lingue e dieci bocche avessi,
voce instancabile, petto di bronzo avessi, e nemmeno le Muse olimpie, figlie di Zeus egìoco, potrebbero dirmi quanti vennero sotto Ilio! Ma dirò i capi di navi e tutte le navi (Omero, Iliade, II, 484-493)
Il poeta, prima di proseguire con la minuziosa descrizione delle forze schierate avverte l’esigenza di reiterare la sua invocazione alle Muse affinché lo affianchino in questa ardua ricostruzione, giungendo in soccorso alla sua memoria. Al verso 485, pone in risalto l’onnipresenza e l’onniscienza delle Muse (“siete sempre presenti, tutto sapete”) di fronte al suo limite umano.
Un altro esempio dell’ispirazione poetica ci viene fornito da un altro passo dell’Odissea. A prendere la parola è il porcaio Eumeo a cui è stato ordinato da Penelope di chiamare Odisseo, il quale sotto mentite spoglie è nel palazzo di Itaca, così che le dica quello che sa di suo marito, ovvero di se stesso. Eumeo, è già a conoscenza della vera identità di quell’uomo che la regina ritiene un forestiero:
Ah, se gli Achei, o regina, tacessero! Fa tali racconti: affascinerebbe il tuo cuore. L’ho avuto tre notti e tenuto tre giorni nella capanna – venne da me appena fuggì dalla nave – ma non finì di narrare le proprie sventure. Come un uomo fissa un aedo che canta, istruito dai numi, racconti graditi ai mortali, e quando canta essi bramano sempre di ascoltarlo, così costui mi incantava, seduto nella mia casa. (Odissea XVII 513-521 )
Al verso 519 vi è un chiaro riferimento al poeta che intona i canti per ispirazione divina (“istruito da numi”). Il cantore è tale in quanto ha ricevuto per grazia divina gli insegnamenti degli dei.
Ispirazione divina e veridicità in Esiodo
Ancora Esiodo, nella Teogonia, ottiene dalle Muse con l’ispirazione divina anche la garanzia della veridicità del suo canto:
Questo discorso, per primo, a me rivolsero le dee, le Muse d’Olimpo, figlie dell’egioco Zeus:
“O pastori, cui la campagna è casa, mala genia, solo ventre; noi sappiamo dire molte menzogne simili
al vero, ma sappiamo anche, quando vogliamo, il vero cantare”. Così dissero le figlie del grande
Zeus, abili nel parlare, e come uno scettro mi diedero un ramo d’alloro fiorito, dopo averlo staccato,
meraviglioso; e m’ispirarono il canto divino, perché cantassi ciò che sarà e ciò che è, e mi
ordinarono di cantare la stirpe dei beati, sempre viventi (Esiodo, Teogonia, vv. 24-33)
Quasi in preda ad una allucinazione – secondo Callimaco in sogno – il pastore di Ascra riceve con la consegna di un ramo di alloro (albero sacro ad Apollo, dio anche della poesia) sia l’investitura poetica sia la capacità di cantare secondo verità.
Ai versi 31/32 il periodo “e m’ispirarono il canto divino” implica l’atto della “possessione” da parte delle Muse del poeta, che viene a trovarsi così nella condizione di essere “pieno della divinità”. Per elargizione, la parola della Musa si trasforma nella parola del poeta con l’essenza di verità, in quanto rivelata dalle Muse.
A confronto con Omero, il rapporto Musa-poeta in Esiodo risulta più composito e complicato. Certamente sia Omero, sia Esiodo intendono il loro canto frutto dell’ ispirazione della divinità ma, mentre nell’Iliade e nell’Odissea è la Musa in persona a farsi portavoce del canto usufruendo del cantore come di uno strumento, nei versi esiodei, invece, le Muse delegano al poeta il compito di cantare. Da prendere in considerazione anche il rapporto tra poesia e verità, in merito al quale Arrighetti sostiene:
La persona dell’autore, il suo nome, il suo proporsi al destinatario nella sua responsabile individualità diventano garanzia del racconto relativo all’incontro con le Muse; il fatto poi che le dee rivelino a lui solo fra tutti gli altri poeti le medesime cose che costituiscono il tema del loro canto per Zeus e, a sua volta, garanzia del carattere veritiero del loro insegnamento. Così la persona di Esiodo diventa il tramite fra la divinità e l’uomo e anche in questo consiste la riconquista di una condizione di privilegio grazie alla quale egli proclama, in qualche modo, la sua dignità per la missione di insegnamento che si propone.
Anna Cioffi
Bibliografia:
Omero Iliade Prefazione di Fausto Codino Versione di Rosa Calzecchi Onesti, Einaudi, 2010
Omero Odissea Introduzione di Alfred Heubeck Traduzione di G. Aurelio Privitera, La Grande Biblioteca dei Classici Latini e Greci, Fabbri Centauria, 2015