Macbeth è l’opera più insanguinata di Shakespeare, la più breve e la più inquietante.
Come può, infatti, il più valoroso dei guerrieri scozzesi trasformarsi nel supremo traditore, il regicida che rinnega Dio per abbracciare il diavolo? Non c’è risposta: Shakespeare non indaga le cause, analizza gli effetti.
Macbeth è la tragedia del buio e del sangue: di notte, celate dal buio e dall’oscurità, avvengono le azioni criminose della coppia; Lady Macbeth invoca la notte a nascondere il delitto che la sua mente sta partorendo, di cui suo marito sarà mano e pugnale. Macbeth è anche la tragedia della colpa, dell’ambizione e della paura, ma soprattutto è la tragedia dell’antitesi.
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Fair is foul, and foul is fair
L’opera si apre con tre streghe, elemento sovrannaturale molto apprezzato all’epoca (appena pochi anni prima l’allora re James I aveva scritto il Daemonologie), che perturbano e confondono attori e spettatori. Cosa significa che il bello è brutto e il brutto è bello? Sono le parole che Macbeth, ancora ignaro, pronuncerà poco dopo sul campo di battaglia:
So foul and fair a day I have not seen. [1]
“Non ho mai visto un giorno così brutto e così bello”. Quelle di Macbeth, almeno, hanno un senso: sono legate alla battaglia contro i norvegesi, che è bella perché vittoriosa, brutta perché insanguinata. La sibillina espressione delle streghe, come tutte le altre successive, sembra invece alludere proprio alla realtà dell’opera a cui stiamo assistendo: le cose sono confuse, nulla è come sembra; Macbeth all’inizio è un valoroso guerriero, ma proprio quest’uomo, in apparenza così puro, è già corrotto, corroso da un desiderio proibito che nasconde a se stesso e che la profezia delle streghe farà salire a galla.
All hail, Macbeth, that shalt be king hereafter! [2]
What is a man? Rubiamo le parole di bocca ad Amleto per applicarle a Macbeth: cos’è un uomo? Cos’è Macbeth? Prima di compiere l’irreparabile, l’imperdonabile, il futuro re di Scozia è dubbioso nei confronti dell’azione a cui lo spinge inesorabilmente la moglie:
I dare do all that may become a man; who dares do more is none. [3]
Chi compie ciò che non si addice un uomo non può essere più definito uomo. Cos’è, allora?
Secondo Nadia Fusini, Macbeth si accosta perfettamente alla figura dell’overreacher (di cui abbiamo già discusso a proposito di Faust). In effetti gli attributi luciferini non mancano: l’uno il più splendente tra gli angeli, l’altro il più valoroso tra i guerrieri; l’uno amato e protetto da Dio, l’altro da re Duncan; entrambi avrebbero potuto godere della gioia e dei benefici di una posizione privilegiata, invece puntano troppo in alto, mirando a spodestare il loro Signore; entrambi, infine, falliscono.
Is this a dagger which I see? [4]
Il pugnale fluttuante, allucinazione creata dalla fertile, suggestionabile mente dell’eroe-villain, è una delle immagini più eloquenti dell’opera, perché racchiude in sé i significati di malattia mentale (Macbeth e la sua Lady sono, in modi diversi, schiavi della propria mente) e di violenza di cui il testo è pregno. A dagger of the mind, a false creation è il modo in cui Macbeth cerca di liquidarlo: tentando, cioè, di razionalizzare; quello però tornerà più tardi, sotto forma di fantasma dell’amico Banquo, ucciso dai suoi sicari. Al pugnale dell’uomo fanno da contraltare le macchie di sangue che la Lady crede di vedere sulle proprie mani e non riesce a lavare via: inaspettatamente, non è Macbeth a morire pazzo ma sua moglie, che tanto si mostrava orgogliosa e sicura di sé.
Una Lady demoniaca
Sulla Lady (quasi) demoniaca bisognerebbe aprire un capitolo a parte, tanto è importante la sua figura nell’opera: in qualità di motore dell’azione è persino più cruciale delle streghe, perché se le nere befane della mezzanotte avevano stuzzicato l’ambizione del protagonista, è sua moglie che lo convince a trasformare le fantasie in azioni.
Un interessante studio di Freud mostra come sia sotterraneo, ma presente, il tema della mancata paternità/maternità: Macbeth sarà re secondo la profezia delle streghe, è vero, ma saranno i discendenti di Banquo ad ottenere la corona che l’infido amico ha conquistato con tanto spargimento di sangue. Lady Macbeth prega che le venga tolto il sesso (“unsex me”) e afferma che, pur di ottenere la corona, fracasserebbe la testa del bambino che sta allattando. Non c’è alcun bambino però: la coppia non ha figli. Freud insinua che, forse, ciò che tormenta tanto Macbeth sia anche causa della follia della moglie: la femminilità che ha tanto disprezzato si ritorce infine contro di lei, perché senza degli eredi la corona che hanno conquistato è una magra (e transitoria) consolazione.
If Chance will have me king…
…why Chance may crown me without my stir. [5]
Se la Sorte lo vuole re, perché agire? Questo è uno dei nodi e, al contempo, delle contraddizioni intorno a cui ruota la tragedia: Macbeth è responsabile delle sue azioni? Si tratta di una questione metafisica ed etica al contempo: se il mondo è predeterminato, come la profezia delle streghe sembra suggerire (per questo l’elemento sovrannaturale è così importante), allora nessuno è davvero colpevole. Come sappiamo, però, nulla è come sembra: può il diavolo dire la verità? Se, invece, fossero state delle insinuazioni con l’unico scopo di tentarlo? E se, ancora, Macbeth fosse libero di scegliere o, per lo meno, di desiderare? Questo sembra volerci dire Shakespeare: le streghe fanno comprendere a Macbeth un suo desiderio, qualcosa per cui egli può decidere di lottare oppure no. Fino alla fine egli è conscio delle proprie azioni, sa che potrebbe anche fare altrimenti.
Cosa sarebbe accaduto se avesse fatto altrimenti? Forse non lo sapeva neppure Shakespeare.
Maria Fiorella Suozzo
Fonti
Macbeth, Shakespeare, Mondadori (Oscar classici) 1983, introduzione di Paolo Bertinetti e traduzione di Vittorio Gassman
Di vita si muore. Lo spettacolo delle passioni nel teatro di Shakespeare, Nadia Fusini
“Taking a bond of Fate”. Macbeth: tragedia della profezia o tragedia della colpa?, Michele Stanco
immagini: google
Citazioni e traduzioni
[1] Macbeth, I. III
[2] “Salve a Macbeth, che un giorno sarà re!”, ibidem
[3] ivi, I. VIII
[4] “è un pugnale questo che vedo?”, ivi, II. I
[5] “Se la sorte mi vuole re può coronarmi, la sorte: senza ch’io faccia un gesto.” ivi, I. III