“Nun more, dotto’, nun more: chi non c’ha cuore, non gli può venire l’infarto.” – Quanti napoletani non conoscono questa citazione? Quanti non hanno mai ascoltato la suggestiva voce di Sophia Loren pronunciare queste parole? Chiunque esso sia deve provvedere e dedicarsi alla visione di un film del 1967 diretto da Vittorio De Sica: Matrimonio all’italiana.
Inutile specificare che ci si trova nell’ambito della viva cinematografia italiana degli anni ’60-’70.
Matrimonio all’italiana è un film tratto da un’opera teatrale di Eduardo de Filippo (Filumena Marturano) dalla quale prenderà il nome la protagonista del film.
Cos’è un matrimonio all’italiana?
Il film inizia in medias res mentre la fabula si snoderà progressivamente grazie ad un movimento analitico ricco di flashback.
La protagonista di Matrimonio all’italiana è Filomena Marturano ex prostituta napoletana con una storia quanto mai difficile e drammatica alle spalle, interpretata da una grandiosa Sophia Loren.
Il suo amante è Don Domenico Soriano detto Dummì, un signorotto con la passione per le belle donne interpretato da Marcello Mastroianni, riformando così la coppia vincente con la Loren per volontà del regista.
La storia raccontata non è affatto singolare e sconosciuta agli occhi dello spettatore che dovrebbe essere davvero sprovvisto di vissuto per non riconoscere come reale un dramma di questo calibro.
Ad essere singolari sono i dettagli, le minuzie che hanno caratterizzato il film, l’attenzione che si presta a riportare in vita una realtà dolorosa, non solo tipica degli anni del dopoguerra ma tipica del cuore pulsante e più povero della città di Napoli, realtà complicata da capire e da accettare.
Filomena conoscerà Dummì in una casa di tolleranza agli albori della sua carriera che non intraprese per scelta personale come ella stessa rivelerà in un momento molto drammatico e delicato.
I due diventano da subito amanti ed, anzi, Dummì, divenne il protettore di Filomena affidandole, dopo qualche tempo, la sua casa e le sue attività commerciali a Napoli.
Ben presto la situazione non è più letta dalla giovane donna come un indice di fiducia e di responsabilità ma come una mera manovra opportunistica dell’uomo nei suoi confronti e dunque crede di trovare la soluzione ai suoi problemi, in quanto il suo affetto nei confronti di Don Domenico è chiaro e lampante, in una messa in scena dai risvolti tragicomici: fingere di essere sul punto di morte per farsi sposare, messinscena più che riuscita.
Chi non ha riso guardando l’espressione sorpresa di Don Domenico Soriano all’esclamazione: ” Dummì io sto ’cca: la poveretta sta ’cca. Vivente! A’Maronna m’ha fatto ’a grazia. Siamo marito e moglie! Ehehh!”
Sarà questa frase a dare inizio alla commedia che poi, come detto in precedenza, si snoderà in un vortice analitico ricco di drammaticità.
La commedia coglie pienamente la realtà napoletana, la praticità tipica della povertà che come canta un noto cantautore romano “nun c’ ha i denti pe’ magná“, che cerca di sopravvivere in “quei bassi scuri, dove d’estate non si respira” come si può legandosi a soluzioni annichilenti, che scavano lentamente nella vita delle persone, che scavano seppellendo paura e vergogna nel petto di una ragazza di 19 anni che non scappa dalla casa di tolleranza, mentre c’è un allarme bomba, per paura del giudizio altrui, per paura “da gent‘”.
Una realtà contrapposta a quella della Napoli bene, a quella della Napoli dell’otium e del negotium, delle feste, dei balli e delle bibite frizzanti bevute al sole del lungomare splendente.
La differenza è tutta sottolineata preminentemente nei dialoghi, la sceneggiatura è frutto di quattro menti: Renato Castellani, Tonino Guerra, Leonardo Benvenuti e Piero De Bernardi.
Le parole sono infilate nei discorsi dei personaggi in maniera molto attenta, attenta alla caratterizzazione di questi ultimi e ai loro profili storici ed emotivi.
Ogni parola si accompagna a sguardi e gesti molto suggestivi, come suggestive sono le espressioni dei personaggi, a tratti patetiche nei momenti più drammatici ma sempre ben calibrate in base alla circostanza.
La magistrale interpretazione di entrambi i protagonisti è indiscussa in quanto vestono perfettamente i panni dei loro personaggi. Mastroianni è un perfetto sciupafemmine, testardo e capace di prendere in mano la situazione nel punto focale della storia.
La Loren è tagliata per il suo ruolo: bella, seducente e folkloristica, una donna pratica e profondamente astuta come solo una donna che ha vissuto tra privazioni e difficoltà sa essere.
Vi sono scene in cui si incontrano (o scontrano) queste due realtà in maniera chiara e a tratti divertente, si ricorda la celebre scena della firma:“La firma nunn e’ bella ma e’ a mja!”.
Un film che ha funzionato grazie alla calcata e realistica caratterizzazione dei personaggi, allo sfondo tragicomico e sopratutto alla bravura degli interpreti.
Sarebbe un peccato perdere un così ben articolato, drammatico e a tratti divertente film, sicuramente comprensibile a tutti ma in particolare a chi, come Filumena, si bagna ogni giorno di quella realtà così cruda e malsana, così pratica e semplice ma così corrosiva, come l’acido.
Corinne Cocca