Italia: tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta, l’arte del Bel Paese conosce un periodo di grande fermento culturale. Roma, in particolare, diviene il centro di aggregazione di poeti, scrittori, critici, attori, mercanti e artisti provenienti dalle più diverse esperienze, un folto gruppo che di lì a poco prenderà il nome di Scuola di piazza del Popolo (Mario Schifano, Tano Festa, Franco Angeli, etc). È la capitale, la città che sembra meglio interagire con il nuovo panorama artistico anche a livello internazionale, quella che assume un decisivo apporto nel determinare le poetiche degli anni Sessanta.
Il cuore dell’attività culturale si concentra tra via di Ripetta, via del Corso e via del Babbuino, con il Caffè Rosati a rappresentare il punto di riferimento del momento di disimpegno dell’avanguardia artistica romana. Intorno a questa zona nascono alcune gallerie private, tra cui La Salita e La Tartaruga di Plinio de Martiis, che intrattengono fecondi rapporti anche con le altre città italiane come Milano, Venezia, Bologna, senza dimenticare il Nord Europa e soprattutto l’America, proponendo i loro giovani artisti. Nel 1960 arrivano a Roma, Ileana Sonnabend e Leo Castelli, una giovane coppia di mercanti desiderosi di divulgare l’arte statunitense in Italia, ma che contribuiranno a loro volta a propagandare l’arte italiana a New York.
Mimmo Rotella (Catanzaro – 1918), che dopo aver compiuto esperienze artistiche di vario genere, tra cui un soggiorno americano tra il ’51 e il ’52, rientra in una Roma quindi in piena ebollizione, caratterizzata da sperimentazioni e contaminazioni di varie tecniche e discipline. Egli stesso inventerà un nuovo modo di fare, di agire e pensare, con i suoi “décollages”.
Sono i numerosi manifesti affissi sui muri di Piazza del Popolo a catturare la sua attenzione:
“Rimasi impressionato dai muri tappezzati di manifesti lacerati. Mi affascinavano letteralmente, anche perché pensavo allora che la pittura era finita e che bisognava scoprire qualcosa di nuovo, di vivo e di attuale. Sicchè la sera cominciavo a lacerare questi manifesti, a strapparli, dai muri, e li portavo in studio, componendoli o lasciandoli tali e quali erano, tali e quali li vedevo. Ecco come è nato il ‘décollage’.”
Le sovrapposizioni di più pezzi di manifesti strappati, venivano dunque predisposti sulla tela, in una maniera però non casuale, bensì sempre con l’intenzione di mantenere un certo equilibrio compositivo e cromatico. Tuttavia i suoi primi décollages erano costituiti dal retro delle carte lacerate, poiché il suo primo interesse era rivolto innanzitutto alla materia, a quel pietrisco o intonaco che rimaneva ancora attaccato dietro il manifesto una volta staccato dal muro. In questi tipi di lavoro il suo intervento tende ad essere quanto mai impercettibile, limitato all’indispensabile. A prevalere è un’ amalgama pastosa di basse tonalità che vanno dal grigio, giallo e marrone al rosa e arancione. Le lettere dei testi sull’altro lato del poster, divengono quasi segni astratti. Sono i retro d’affiches. Solo gradualmente, anche in seguito al mutato clima artistico (che dall’Informale muove verso la Pop Art e il Nuovo Realismo), interessandosi alle icone moderne e i motivi del nuovo immaginario comune, Rotella comincia a guardare al davanti dei manifesti, al loro messaggio comunicativo.
«Al mio ritorno dagli Stati Uniti – dice Rotella – non volevo più dipingere. Scrivevo poemi fonetici. […] Il mio atto di strappare i manifesti voleva dire alla gente: guardate che per le strade abbiamo dei magnifici musei, la segnaletica urbana è incomparabile. Il linguaggio più consono alla nostra epoca è quello pubblicitario».
Agli inizi degli anni Sessanta produce Cinecittà usando le locandine del cinema per le sue opere e scegliendo Marilyn Monroe come icona femminile. È la sua poetica che lo porta in maniera naturale ad avvicinarsi al gruppo fondato dal critico francese Pierre Restany, il Nouveau Réalisme; al suo interno anche altri artisti come Raymond Hains, utilizzavano i manifesti pubblicitari con procedimenti analoghi ai suoi. Seguono le sue prime opere di Mec Art, ovvero, riporti fotografici su tela emulsionata, e poi la sperimentazione degli Artypo. Negli anni Ottanta sarà la volta delle Sovrapitture, interventi cromatici o grafici su manifesti utilizzando come supporto anche lamiere metalliche. Intanto aveva già lasciato Parigi per stabilirsi a Milano, dove morirà nel 2006, ormai celebrato in tutto il mondo.
Marina Borrelli