Preparare un piatto ricercato richiede una lunga serie di operazioni preliminari: un’accurata progettazione, la ricerca degli ingredienti perfetti, l’elaborazione che coniughi ogni sapore, esaltandone alcuni senza mortificarne nessuno. Si tratta insomma di un’opera d’arte, che i critici gastronomici raccontano creando metafore a volte così ardite da far impallidire anche scrittori affermati. Perché non tentare, allora, l’operazione contraria – vale a dire avvicinare un romanzo alla cucina, rievocando meravigliose pietanze nel tentativo di recuperare un sapore d’infanzia perduto? È questa l’idea di Muriel Barbery, scrittrice francese salita alla ribalta per il romanzo L’eleganza del riccio, al momento della scrittura del suo primo libro Une gourmandise. Il libro è stato tradotto in Italia prima col titolo “una golosità” e, in seguito, “Estasi culinarie“.
Alla ricerca del sapore perduto
Monsieur Arthens, il più grande critico gastronomico del mondo, sta per morire. Nulla ha più importanza: non la sua famiglia, non la sua carriera, non i ricordi della sua vita gloriosa. L’unica cosa che conta è riuscire a ripescare dal fondo della memoria un sapore da lungo tempo dimenticato, “un sapore dell’infanzia o dell’adolescenza, una pietanza primordiale e sublime che precede qualsiasi vocazione critica, qualsiasi desiderio e pretesa di parlare del mio piacere di mangiare.”
La lettura di questo romanzo è un’esperienza letteraria e sensoriale insieme, un viaggio nella memoria di un despota cinico, egocentrico, un uomo che ha distrutto reputazioni, infranto sogni di giovani aspiranti critici; un marito sprezzante, un padre assente e odiato dai suoi figli, in breve un uomo che ha preferito lo stomaco al cuore. Viaggiamo tra i ricordi di molti personaggi diversi, che fanno da contraltare all’altezzosità del protagonista; tra le tante voci qualcuno potrà riconoscere anche quella di Renée, la portinaia di rue de Grenelle, protagonista del secondo libro di Muriel Barbery.
Arthens cerca la sua maddalena proustiana, ma il procedimento è invertito. Rileggiamo l’indimenticabile passo di “dalla parte di Swann” in cui Marcel inzuppa il pasticcino nel tè:
Ma, nel momento stesso che quel sorso misto a briciole di focaccia toccò il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario. Un piacere delizioso mi aveva invaso, isolato, senza nozione della sua causa. M’aveva subito rese indifferenti le vicissitudini della vita, le sue calamità inoffensive, la sua brevità illusoria, nel modo stesso che agisce l’amore, colmandomi d’un’essenza preziosa: o meglio quest’essenza non era in me, era me stesso. Avevo cessato di considerarmi mediocre, contingente, mortale. Donde m’era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo ch’era legata al sapore del tè e della focaccia, ma lo sorpassava incommensurabilmente, non doveva essere della stessa natura. Donde veniva? Che significava? Dove afferrarla? Bevo un secondo sorso in cui non trovo nulla di più che nel primo, un terzo dal quale ricevo meno che dal secondo. È tempo che io mi fermi, la virtù della bevanda sembra diminuire. È chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me.
La maddalena scatena, per un meccanismo di memoria involontaria, un’ondata di ricordi che travolge il protagonista. Nel libro della Barbery, invece, Arthens rivanga volontariamente i suoi ricordi per ritrovare “l’unica verità che in vita sia stata detta – o messa in pratica.” Il dolcetto che Marcel inzuppa nel tè è un mezzo per arrivare a un fine; viceversa, i ricordi del critico immaginato della Barbery sono, essi, il mezzo per arrivare all’unico fine della sua vita, all’unica cosa che abbia avuto un senso: un sapore.
Muriel Barbery: una scrittura ricercata
Chi ha letto l’eleganza del riccio lo sa bene: Muriel Barbery utilizza uno stile ricercato, periodi complessi, immagini artificiose e non sempre gradite. È certo che una scrittura simile non possa piacere a tutti, come d’altronde un piatto complesso ed elaborato non si adatta a tutti i palati.
In “Estasi culinarie” l’autrice non raggiunge ancora la raffinatezza del secondo romanzo, i guizzi di comprensione che portano il lettore in un mondo di aristocratici dell’anima, le verità sulla vita che sembra di poter afferrare e ciononostante continuano, sempre, a sfuggire. Tuttavia si riscontra un obiettivo comune: i suoi romanzi puntano a dischiudere la bellezza.
Il sapore che Arthens cerca, il gusto che troverà dopo una giornata trascorsa immerso in rievocazioni di portate sublimi, tra le meraviglie del pesce crudo e del pane croccante, racchiude il senso della sua vita, della sua personale ricerca della bellezza. Per questo motivo la scoperta finale è così deludente: Arthens scopre che non è il cibo in sé a rappresentare l’opera d’arte, ma la sua metamorfosi in pensieri, parole, racconti.
Degustare è un atto di piacere, raccontare questo piacere è un fatto artistico.
Maria Fiorella Suozzo
Fonti
Estasi culinarie, Muriel Barbery, edizioni e/o (da cui sono tratte tutte le citazioni eccetto [1])
[1] Dalla parte di Swann, Marcel Proust
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