Adam Martinakis tra spirito e materia

“Immagino che l’arte deve essere come un ponte, un collegamento tra lo spirito e la materia, la vita e gli assenti, il personale e l’universale. Esploro l’ignoto tra luce e tenebre, in una convivenza supplementare che costituisce l’orizzonte degli eventi della creazione. Compongo scene della non esistenza, l’eco del vuoto vivente, immerso nella metafisica della percezione.”

Adam Martinakis

Poco si può aggiungere alla descrizione che l’artista Adam Martinakis fa della sua stessa arte. Un insieme di emotività e freddezza, un fermo immagine che riesce a cogliere nella sua stasi il turbinio proprio della tensione prima dell’esplosione.

Nato nel 1972 a Luban, in Polonia, da madre polacca e padre greco, nel 1982 si trasferisce con la famiglia ad Atene. Qui inizia il suo percorso di studi frequentando corsi di Architettura d’interni, Arti Decorative e Design Industriale presso l’Istituto di Istruzione Tecnologica di Atene. Terminati gli studi Martinakis intraprende, in diversi istituti d’arte, la carriera di docente di arti digitali, grafica e design sia di interni che ceramico. Profondo conoscitore dei programma di modellazione 3D, la sua curiosità inizia ad andare oltre la materia puramente funzionale e scientifica dei suoi studi per inoltrarsi nella sfera delle emotività umana e delle forme che più la contraddistinguono.

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Le forme umanoidi, che si vengono a creare attraverso la sua opera di modellazione, risultano essere figure silenziose che raccontano la complessità dell’amore romantico, l’angoscia della condizione umana, la solitudine, la difficoltà di esprimersi, rileggendo molti autori fra cui è evidente un richiamo alla languida sofferenza di Edvard Munch. Le atmosfere che circondano i protagonisti delle sue immagini sono invece una miscela unica di Surrealismo e Futurismo completata da scenari fantascientifici digitali. Molte delle sue figure umane sono posizionate all’interno di strutture postindustriali decadenti, orbite di pianeti asettici o la composizione di atomi disgregati.

Quello che cerca di esprimere Martinakis sono i pezzi della personalità e le influenze esterne che compongono ogni individuo socialmente e psicologicamente. È interessato alla connessione tra il naturale e il digitale: gli esseri umani sono essi stessi macchine naturali e si trovano in una dimensione storica che costringe a rapportarsi con la tecnologia che ormai ha un ruolo significativo nell’esistenza. Le sue opere sono frutto di questa riflessione e combina così l’arte, la filosofia e la scienza creando nei suoi lavori profonde affermazioni sulla condizione umana.

Il corpo è l’unica casa che si possiede davvero, e lo strumento più espressivo di cui si è dotati. Anche quando non lo si usa, come quando si dorme o semplicemente si è seduti e si pensa, si rimane sempre nel corpo. Martinakis Io usa come simbolo della presenza umana, ritenendo che a volte, è possibile ottenere molte più informazioni da un corpo che ascoltando il discorso di qualcuno.

Le figure delle sue opere però sono spesso frantumate e raramente ritratte nella loro interezza. Le forme incomplete sembrano esseri robusti, spesso metallici, strutture delicate in grado di rompersi rapidamente in mille pezzi a causa di una forza interna. Martinakis riesce a comunicare il senso del fascino emotivo proprio attraverso la frammentazione, quella che ricerca è l’espressione dell’individualità attraverso le sfumature di ogni emozioni che si racchiudono e allo stesso tempo sprigionano proprio dallo stesso corpo.

La rivelazione finale è l’importanza della memoria che si dimostra indissolubilmente intrecciata con l’esistenza. La memoria è la causa delle più forti emozioni, l’insieme dei sentimenti che si sprigionano e fuoriescono dai corpi per liberarli o disintegrarli.

Michela Sellitto