Che Dante Alighieri conoscesse la cultura islamica non è una novità, ma è un assunto spesso messo in secondo piano. L’Islam ha nella Divina Commedia una grossa importanza, simbolo di continua contaminazione tra Oriente ed Occidente. Interessante è il punto di vista della saggista Maria Soresina, cultrice di filosofia indiana fin dagli anni Sessanta. La studiosa scopre nel 1992, in occasione di un viaggio in India, notevoli analogie nella Divina Commedia tra il cammino dantesco e la via dello Yoga. Inizia da quel momento un profondo studio dell’opera di Dante che la conduce a individuare la fonte primaria del poema nel catarismo, l’eresia estremamente diffusa negli anni e nei luoghi in cui visse Dante.
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Il Libro della Scala, Dante e la conoscenza dell’Islam
Per parlare del rapporto tra Dante e l’Islam è possibile iniziare dal 1919, anno in cui usciva il libro La escatología musulmana en la Divina Comedia dello storico e arabista spagnolo Miguel Asín Palacios. Il testo fece molto scalpore tanto che un articolo sul Corriere della Sera titolava «Dante. Il sommo poeta partorito dall’Islam». Oggi è cosa certa che Dante conoscesse l’Islam, ed è molto probabile che conoscesse la storia del viaggio di Maometto nell’aldilà, tramite (come sostiene la famosa dantista Maria Corti) il Libro della Scala, un testo escatologico arabo-spagnolo, il cui originale, a noi non giunto, portava quasi certamente il titolo di Kitāb al-Miʽrāǵ nel quale, sviluppando un famoso versetto coranico su un miracoloso viaggio notturno del profeta a Gerusalemme (Corano XVII 1), narra la susseguita sua salita al cielo e la sua visita dei regni d’oltretomba. Il testo fu fatto tradurre in castigliano poco prima del 1264 da re Alfonso X di Castiglia, questa versione fu perduta ma Bonaventura da Siena riuscì a trarre due versioni: in latino (Liber Scalae) e in antico francese, che sono giunte a noi e che è assai probabile Dante conoscesse.
Certamente non è la sola fonte di ispirazione di Dante, il quale ha divorato tutte le numerose fonti della cultura del suo tempo: gli scritti islamici, ma soprattutto i Vangeli e la Bibbia, i testi dei Padri della Chiesa, e soprattutto Virgilio e la letteratura classica con la sua mitologia. Quindi sostenere – come Palacios – che le leggende musulmane sono «il prototipo palese e indiscutibile» dell’architettura dell’aldilà dantesco è ovviamente eccessivo. Ma il rapporto tra Dante e l’Islam non è da sottovalutare, e soprattutto vi sono aspetti che meritano di essere presi in considerazione.
Uno di questi è la presenza di personaggi islamici nella Commedia: la presenza di Averroè, di Avicenna e del Saladino nel Limbo; la presenza di Maometto e di suo cugino Alì nell’Inferno.
Il limbo dantesco e i suoi abitanti
Il Limbo dantesco non era uno, certo il più noto è quello nel quale sono destinati i bambini morti prima di ricevere il battesimo; ma l’altro limbo era il Limbo dei Padri o dei Patriarchi, in cui abitano i patriarchi dell’Antico Testamento (Abramo, Noè, Mosè, ecc) che attendevano il Messia per la liberazione da quel luogo di anti inferno. Una liberazione di cui non parlano le Scritture, e che divenne dogma nel 1215. Secondo la Chiesa, quindi, dopo Cristo l’unico Limbo esistente era quello dei bambini.
Dante colloca nel Limbo non solo poeti latini, filosofi greci ed eroi troiani vissuti prima di Cristo, ma anche personaggi che vissero dopo Cristo e non furono cristiani, come appunto il musulmano Saladino contro il quale vennero fatte crociate. Sempre nel Limbo Dante incontra, insieme ai filosofi greci, anche Avicenna e Averroè, entrambi notoriamente musulmani, anzi Dante ritiene un buon commento l’opera di Averroè su Aristotele (Inferno IV, 144). Tra i maggiori esponenti dell’averroismo cristiano – combattuto aspramente soprattutto da Tommaso d’Aquino – c’era l’eretico Sigieri di Brabante, che Dante ubica in Paradiso.
Per secoli i commentatori hanno convenuto che l’opera dantesca fosse la messa in versi dell’ortodossia di Tommaso d’Aquino, fu negli anni ’40 che il dantista teologo Bruno Nardi ha mostrato come il pensiero del poeta fiorentino fosse decisamente neoplatonico o averroista; averroista è infatti un elemento fondante dell’opera: la veduta di Dio da parte di un non morto. Infatti per tutta la teologia cattolica non è possibile «vedere» Dio se non dopo la morte, mentre per Averroè e gli averroisti è possibile arrivare a «vedere» Dio prima della morte.
La presenza di Maometto nell’Inferno e l’indicazione della Chiesa
La presenza di Maometto nell’Inferno ha provocato una serie di proteste, molte anche recenti. Girarono voci che i terroristi islamici stessero preparando un attentato contro la basilica di San Petronio a Bologna, la quale contiene un affresco dantesco raffigurante Maometto nudo all’inferno dantesco, c’è chi propone di bandire l’intera Divina Commedia dalle scuole perché non è offende ebrei e musulmani, è razzista, è omofoba…
Oggi (non certo all’epoca della stesura dell’opera) la presenza di Maometto in Inferno crea disagio, allora lo studioso arabo Fuad Kabazi ipotizzò che fosse stato Pietro Alighieri, figlio di Dante, a manomettere il testo originale. L’Inferno dantesco è immaginato come un immenso cono sotterraneo che arriva fino al centro della terra. I peccati diventano sempre più gravi man mano che si scende. Maometto si trova nell’ottavo e penultimo cerchio delle Malebolge, precisamente nella nona bolgia, quella dei seminatori di discordia, ovvero coloro che hanno prodotto delle separazioni, delle scissioni, questo perché all’epoca si riteneva, infatti, che l’Islam fosse nato come scisma dalla religione cristiana.
Luigi Valli e la Pietra
Nel 1928 Luigi Valli pubblicò l’opera intitolata “Il linguaggio segreto di Dante e dei Fedeli d’Amore”. I «Fedeli d’Amore» erano i poeti del cosiddetto Dolce Stil Novo. Luigi Valli ha analizzato tutte le loro poesie e ha scoperto che usavano un linguaggio segreto. Tra le tante parole che Valli ha decodificato c’è anche «pietra», che significava nelle loro poesie la Chiesa di Pietro (cioè la Chiesa di Roma), la Chiesa che rende pietra (pp. 232-234.). La bolgia in cui si trova Maometto è introdotto con questi versi:
“Luogo è in inferno detto Malebolge / tutto di pietra di color ferrigno” Inf. XVIII, 1-2.
Malebolge è un luogo di «pietra», quindi rappresenta la Chiesa. A confermarlo anche il fatto che la basilica di San Pietro è citata nella Commedia solo nell’Inferno e nelle Malebolge. Inoltre Dante fornisce l’indicazione di una misura precisa, espressa in miglia nella penultima bolgia, quella in cui è presenta Maometto. Dante dice che: miglia ventidue la valle volge, e della successiva ch’ella volge undici miglia. La misura di «ventidue miglia ha un valore particolare, di cui i critici si guardano bene di parlare: ventidue miglia era, allora, la lunghezza delle mura della città di Roma, ovvero della sede della Chiesa. Lo riportano i documenti ufficiali dell’epoca, documenti che evidentemente Dante conosceva. Probabilmente quelli che Dante indica con diavoli delle Malebolge e che storpiano Maometto, sono proprio gli uomini della Chiesa, i quali storpiano il suo messaggio.
“Io sono convinta – scrive Maria Soresina – che Dante abbia scritto la “Divina Commedia” spinto dall’urgenza di trasmettere (inevitabilmente «nascosto sotto il velame») il messaggio di amore e libertà, di solidarietà e tolleranza che era peculiare del catarismo, ovvero di quel mondo di idee e di valori che stava per essere cancellato, e di cui faceva parte anche il rispetto e il sincero apprezzamento per una grande religione quale è l’Islam”.
Suania Acampa
Fonti: Maria Soresina. www.istitutoeuroarabo.it
Per approfondire: http://www.segretecose.it/Home.html