L’incipit del libro della Genesi, e con esso della Bibbia, è qualcosa di straordinariamente noto. Si può essere atei, agnostici o appartenere ad un altro credo religioso, offrire incenso a queste suggestive parole o denigrarle, in ogni caso esse sono trasversalmente conosciute.
In principio Dio creò il cielo e la terra…
Possiamo ben dire che le parole iniziali di Genesi e la storia che ne segue sono entrate a far parte del patrimonio culturale mondiale. Ma se la Bibbia non iniziasse veramente così? Se, nonostante la fama plurisecolare delle parole – In principio Dio creò -, l’inizio vero fosse un altro?
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In principio Dio creò: un celebre inizio?
Queste affermazioni suscitano un certo scalpore, un po’ come se all’improvviso risultasse che la Divina Commedia non iniziasse con “Nel mezzo del cammin di nostra vita…”.
Il paragone con lo scritto di Dante Alighieri in realtà sarebbe improprio: siamo certi che la Divina Commedia inizi con il celebre verso riportato sopra, così come che l’inizio della Bibbia sia
בְּרֵאשִׁ֖ית בָּרָ֣א אֱלֹהִ֑ים
Ovvero, in traslitterazione: berēšîṯ bārā’ ’ĕlōhîm
Il problema è la traduzione in italiano – In principio Dio creò – anche se, a ben vedere, non è un problema che riguarda solamente le lingue moderne. Fin dall’antichità, dalla traduzione greca del IV secolo a. C. che ispirò successivamente quella latina, le prime parole ebraiche di Genesi vennero rese con l’equivalente di – In principio Dio creò – così troviamo – ἐν ἀρχῇ ἐποίησεν ὁ θεὸς – e – in principio creavit Deus – .
Principale o subordinata?
Il racconto di Genesi, con cui inizia la Bibbia, è reso in traduzione con una proposizione principale iniziale:
In principio Dio creò il cielo e la terra. La terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l’abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu.
Come abbiamo visto sopra, non si tratta di una scelta delle nostre lingue moderne, ma della traduzione greca del IV secolo a. C. È una scelta del tutto comprensibile ed ovvia pensando alla forma mentis del pensiero greco, in cui prevale una logica di tipo causale. Non a caso la civiltà greca ha prodotto la riflessione filosofica e con essa ha posto le basi della nostra cultura occidentale.
Il testo biblico, però, non appartiene all’orizzonte culturale greco ma a quello semitico. La cultura semitica segue altri canoni, è notevolmente più simbolica, dinamica e personalistica. Se il pensiero greco riflette in modo causale sull’origine e sul senso dell’esistente, il pensiero semitico, appartenente al contesto del Vicino Oriente Antico, si esprime attraverso delle narrazioni. Da una parte abbiamo quindi la chiarezza e la sistematicità del saggio filosofico che però incontra presto dei limiti invalicabili, dall’altra abbiamo i colori e le sfumature di racconti che evocano un senso eloquente ma restio ad essere trasposto in forma teoretica[1].
Questa considerazione generale si coniuga bene ai primi versetti di Genesi: il testo biblico non inizia con una proposizione principale come vorrebbe la logica greca-occidentale, ma con una proposizione subordinata, conformemente ai racconti di creazione del Vicino Oriente Antico.
Perciò, seguendo J. Blenkinsopp, ecco una resa molto più aderente al testo ebraico rispetto a quella che conosciamo a memoria:
Quando Dio cominciò a creare il cielo e la terra, la terra essendo una massa informe, la tenebra ricoprendo la superficie dell’abisso, e un grande vento turbinando sulla superficie dell’acqua, allora Dio disse…[2]
Un inizio del genere stona parecchio con la nostra sensibilità di lettori odierni ed è buffo pensare che qualsiasi maestra o professoressa di italiano non esiterebbe a sottolineare il tutto con un bel colore rosso. Eppure sia a livello grammaticale, sia considerando il genere letterario, questa è la scelta corretta a livello filologico. Che questa versione diversa del testo biblico non rappresenti proprio una novità, lo deduciamo da Rashi. Questo studioso medievale ebreo del XI secolo era perfettamente consapevole che a livello linguistico la versione corretta non era quella più diffusa.
Oggi assistiamo a delle scelte diverse: alcune traduzioni inglesi della Bibbia, come la NAB o NRSV, si sono adeguate ai risultati degli studi scegliendo la versione ‘più corretta’ ma più anomala. Altre traduzioni, come quelle italiane, sono rimaste nel solco della tradizione scegliendo di distinguere una traduzione finalizzata agli studi filologici da una destinata all’uso liturgico. Questa scelta è conforme non solo a tutta la tradizione cristiana ma anche a quella giudaica, che fin dall’antichità ha scelto di leggere il testo come – In principio Dio creò -.
Christian Sabbatini
Immagine in evidenza: www.youtube.com
Immagini media: www.youtube.com, www.diocesilecce.org, biologos.org
Bibliografia:
BibleWorks 8
CEI 2008
J. Blenkinsopp, Creation, Un-creation, Re-creation. A Discursive Commentary on Genesis 1-11, T&T Clark International, London 2011, 30-32.
(Disponibile in italiano come: J. Blenkinsopp, Creazione, de-creazione, nuova creazione. Introduzione e commento a Genesi 1-11, EDB, Bologna 2013, 49-52.)
[1] Naturalmente la descrizione appena fatta ha i vantaggi e i limiti di ogni generalizzazione: riguardo all’importanza del mito nella riflessione filosofica basta citare Platone; inoltre, avendo avuto uno sviluppo secolare, il pensiero biblico conosce anche la terminologia greca nei suoi scritti più recenti, anche se non ne adotta la Weltanschauung a monte.
[2] J. Blenkinsopp, Creazione, de-creazione, nuova creazione, 50. Riguardo alla scelta di tradurre rûaḥ con vento piuttosto che con Spirito, anche questa è una scelta pienamente giustificata ma merita una considerazione a parte.