Esordire nel cinema con un capolavoro non è qualcosa che capita tutti i giorni: c’è chi non viene subito compreso, c’è chi va incontro ad un clamoroso flop e c’è chi infine si è subito distinto, rivelando immediatamente la propria genialità, basti pensare a Truffaut (I quattrocento colpi) o a Tarkovskij (L’infanzia di Ivan); ebbene quest’ultima sorte è toccata a Marco Bellocchio che con la sua opera I pugni in tasca presentò un film che avrebbe fatto molto discutere, ma allo stesso tempo sarebbe entrato di diritto tra i capolavori assoluti del cinema italiano.
Per molti un film manifesto, anticipatore del movimento del ’68, I pugni in tasca, vincitore del premio città di Imola al Festival di Venezia, fu realizzato con un budget piuttosto ridotto, riducendo dove possibile gli sperperi. Diretto e sceneggiato da Bellocchio, I pugni in tasca poté contare sulle musiche di Ennio Morricone, che hanno sicuramente contribuito alla buona riuscita di quest’opera, e su un eccellente montaggio di Silvano Agosti. Nel cast troviamo lo svedese-irlandese Lou Castel, che mostra in questo suo film il suo talento, adattando il suo personaggio a se stesso, Paola Pitagora, che interpreta la sprovveduta e insicura Giulia e infine Marino Masè, nel ruolo di Augusto cioè il fiore all’occhiello di una famiglia disagiata.
I pugni in tasca, la trama
Nelle campagne piacentine, vivono in una villa insieme una madre cieca e i quatto figli. La storia si consuma e si distrugge tra le personalità distorte dei componenti della famiglia. Ale (Lou Castel), è affetto da crisi di epilessia ed è attratto dalla sorella Giulia (Paola Pitagora), che a sua volta è attratta da Augusto, è una tipa piuttosto insicura, poi c’è Leone, silenzioso e affetto da ritardo mentale L’unico che sembra riuscire ad allontanarsi da questo disagio è Augusto, il fratello maggiore, il solo che conduce una vita ordinaria. Così Sandro, attratto dalla vita di Augusto, ovvero dalla sua apparente normalità borghese, decide che per svincolarsi da questa trappola familiare è necessario tagliare tutti i rami malati dell’albero a cominciare dalla madre.
La rappresentazione di una famiglia sbagliata
Il film di Bellocchio ruota intorno al tema della famiglia, ma non è come una famiglia qualsiasi, si respira un’aria maledetta, perversa, tragica: una madre cieca e vedova, un rapporto incestuoso tra fratello e sorella, Leone che nella sua malattia è completamente invisibile al resto della famiglia. Alessandro sembra essere l’unico ad avvertire il disagio di questa famiglia e il suo istinto omicida non è irrazionale, anzi, viene da lui visto come un modo per fare del bene alla sua famiglia, un modo per liberarla da questa maledizione che si porta, ostacoli e malattie, non a caso i primi che moriranno saranno proprio quelli meno ancorati alla vita, quelli silenziosi e invisibili. Tutto sembra dover essere finalizzato a favorire Augusto, che rappresenta la normalità nella stranezza, eppure non è la normalità quella che insegue Alessandro, il quale riesce ad essere se stesso solo nel microcosmo domestico, divenendo goffo e impacciato all’esterno .
Intanto Bellocchio, con uno stile rudimentale, con riprese esasperate e agitate, ci trasmette il senso di claustrofobia e di maledizione che si respirano in quella casa, accompagnato dalle musiche di Morricone. La casa diventa luogo di analisi dei personaggi, che sembrano imprigionati, quasi irrimediabilmente a questo nido familiare, è qui che fratelli e sorelle ci vengono mostrati nella loro stranezza, follia, anche banalità, diretti verso un non si sa cosa. Questa stessa casa sarà per molti un luogo di morte, un po’ come la villa de La grande abbuffata.
Il regista di Bobbio aveva così realizzato un’opera che a suo tempo fece molto discutere. Un film che rovesciava l’idea di famiglia, tra incesti, matricidi, fratricidi e comportamenti ambigui. I pugni in tasca creava così una breccia nell’immaginario collettivo degli italiani, denunciando il perbenismo e il puritanesimo della provincia italiana, mettendo inoltre in scena un senso di inquietudine verso il cambiamento in corso e anticipando alcuni valori della società italiana che verrà, della quale Augusto sembra rappresentarne la figura ideale. Così nel 1965, al cinema italiano veniva consegnato una delle opere più importanti di quegli anni, Bellocchio invece, entrava nella storia realizzando uno degli esordi cinematografici più riusciti della storia del cinema, supportato da un cast e da tecnici di grande talento.
Roberto Carli