Iniziamo con un rapido ripasso di grammatica cinematografica (ahia, questa è licenza poetica?). Chiunque, almeno una volta nella vita, avrà visto un thriller, e naturalmente si sarà anche chiesto, un bel giorno, cosa significasse. A pensarci bene, probabilmente, sui concetti di thriller, così come di giallo, noir, drammatico, psicologico – per non parlare dei sottogeneri – sarebbe più facile parlare per esempi che per definizioni.
Questo perché abbiamo imparato prima a vederli, i film, che a capirli: ad esaltarci davanti alle trame d’azione e a cambiare canale di fronte alle love stories. Ma per fortuna siamo cambiati, no? Anche noi abbiamo imparato ad apprezzare “I ponti di Madison County” (che dio Clint non ce ne voglia), a spararci due ore dei film del sabato sera su Italia Uno (per fortuna senza quasi mai apprezzarli del tutto) e a capire che non sempre i film di Rete 4 sono da vecchi.
Ed è qui che questa nostra breve introduzione sul cinema, in un articolo che dovrebbe parlare di serie tv, si interrompe e comincia a tirare in ballo le suddette. È fuori discussione, infatti, che siano state proprio le logiche della serialità – intesa in senso lato – ad arricchire la sensibilità critica dello spettatore medio, e soprattutto che gli abbiano permesso di interfacciarsi diversamente nei confronti di un genere lento, ragionato, o addirittura impegnato.
Al di là di dove lo si collochi, infatti, un telefilm ispira lentezza e cadenza fin da subito, ed è per questo motivo che è diventato pane per i denti dei soli armati di pazienza, dei matti e degli appassionati capaci di aspettare una settimana (o anche mesi) fra una puntata e l’altra. Il ritmo, sì, da un lato dipende dal numero di puntate e/o dalla loro durata, dall’altro è sensibilmente influenzato dalla tipologia del telefilm in questione, tanto da rendervi veloce quanto una tartaruga stanca anche una maratona di streaming lunga una giornata intera. E se proprio vi siete scelti una serie non adatta a voi, o che non avete voglia né tempo di approfondire nelle sue sfaccettature, nemmeno Netflix può aiutare.
Il thriller… psicologico!
Navigando e facendosi un giro fra le peggio (o meglio, a seconda dei punti di vista) ammucchiate di fan(s) nei social network, la lunghissima serie dei requisiti in base ai quali dovrebbe essere giudicato un telefilm, talvolta, si restringe unicamente al campo del quantitativo d’azione. A parte la spregiudicatezza con cui si parla di azione e non di dinamismo, pare ovvio come la trama domini ancora sui personaggi sia nelle richieste del grande pubblico, sia nella risposta degli sceneggiatori. Sono pochi, infatti, i casi di serie tv in cui venga nettamente fuori il ritratto psicologico dei protagonisti. Viene da pensare, ad esempio, all’originalità di True Detective, serie baluardo con cui sono stati completamente rovesciati i canoni del genere poliziesco, che ha dimostrato come, inconsciamente, della trama non freghi più di tanto a nessuno, o che al massimo interessi solo nei limiti in cui essa è legata ad un personaggio.
Esempi a parte, alcune serie degli ultimi anni sono riuscite nella sapiente mossa di organizzare in maniera piacevole (e non morbosa), azione e caratterizzazione dei personaggi. Si tratta dei cosiddetti thriller psicologici. In genere, i thriller si focalizzano sulla trama piuttosto che sui personaggi, e quindi enfatizza le azioni intense e fisiche sulla psiche dei personaggi. I thriller psicologici tendono a invertire questa formula, enfatizzando i personaggi tanto quanto la trama, se non anche di più. Regnano la suspense, così come i conflitti interiori del protagonista e narratore della vicenda, si fa abuso di flashback, focalizzazione in prima persona e flussi di coscienza; insomma, un thriller diventa psicologico solo se qualcuno vi si inserisce e muove i fili della narrazione, personalizzandola e adattandola al proprio modo di vedere il mondo.
Spesso e volentieri, protagonisti sono sociopatici, depressi od outsider dalla cui prospettiva ogni particolare diventa un dato importante e ogni dato importante viene, invece, declassato a semplice e inutile particolare. Se non ve n’eravate accorti, il titolo della serie che si cela dietro quelle che questo articolo celebra, è Mr. Robot, che dal 24 giugno 2015 è diventata il tormentone dell’estate. Un po’ presto, però, per poter dire che sia una delle sorprese dell’anno, dal momento che – fate un po’ voi i conti – siamo a settembre, e l’autunno non ha quasi mai deluso i seriofili (vedi Fear The Walking Dead). Intanto, noi Mr. Robot ce la guardiamo, ce la gustiamo, perché sappiamo anche che ci sarà una seconda stagione. E la commenteremo al più presto.
Nicola Puca
Fonte immagine in evidenza: veja.abril.com.br