Come gli animali, esistono anche lingue in via di estinzione. Ne muore una ogni due settimane. E le conseguenze, oltre a un appiattimento del “pool genetico” del nostro scritto e del nostro parlato, potrebbero essere tante.
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Le cause dell’estinzione
Esistono, al mondo, fra le seimila e le settemila lingue conosciute. Secondo una parte dei linguisti che studiano il fenomeno, almeno tremila di esse potrebbero estinguersi nel giro di novant’anni, entro il 2100, e duemilaquattrocento sono classificate come “in pericolo”. I locutori di molte lingue sono sempre di meno, e generazione dopo generazione le lingue più parlate assorbono i loro locutori nativi. Duecentotrentuno, invece, si sono addirittura già estinte. Ma perché? Per la globalizzazione e per la politica.
Per la politica, soprattutto quella violenta, di conquista e repressione, limitare l’uso della lingua è un modo efficace per controllare le masse. Una lingua unica, come la neolingua di Orwell, può impedire oggettivamente le possibilità di ribellarsi, e quindi le lingue secondarie possono essere d’intralcio.
Il progetto fascista di uniformare l’italiano, per esempio, fallì grazie ai dialetti, che fornivano una via di scampo dall’assenza di parole non volute dal regime per esprimere determinati concetti. Per questi motivi, la colonizzazione e le politiche del XIX secolo estinsero molte lingue native americane, e così anche le persecuzioni del XX secolo verso le popolazioni nomadi est europee.
Per l’economia, che insiste ossessivamente sulle nostre vite e che prova a intrufolarsi nell’evoluzione della lingua, più lingue vogliono dire più spese. E quindi, per alcuni linguisti, ma in generale per il mondo già sviluppato, il processo di agglomerazione delle lingue andrebbe incoraggiato. Comunicazioni migliori e più chiare, costi infinitamente ridotti, meno necessità di traduzioni, sono fra i punti di forza che essi adducono alla loro teoria.
E allora i commerci si tengono in cinese, in russo, in arabo, in inglese; i bambini non vengono educati con lingue parlate da un numero limitato di persone; e le lingue locali muoiono. Alla massima efficienza economica del pensiero linguistico moderno, insomma, corrisponderebbe e corrisponde la distruzione di testimonianze uniche del passato dell’uomo, delle capacità della sua mente e delle sue derivazioni.
L’importanza dello studio della lingua
Le lingue sono una prova per capire la storia umana, analizzando le similitudini di quelle geograficamente distanti ma strutturalmente molto simili. La loro varietà rappresenta un terreno inesplorato in cui i linguisti, gli scienziati cognitivi e i filosofi possono mettere alla prova le capacità e i limiti della mente umana, studiando le strutture di quelle più antiche e il loro evolversi fino a oggi.
Ogni lingua esprime la cultura di chi la parla, possiede tratti unici donatile dal territorio in cui si è sviluppata, dalla religione e dalle tradizioni dei suoi locutori. E, soprattutto, ogni lingua arricchisce le altre, prestando parole e donando concetti inesprimibili con parole straniere.
Le lingue in via di estinzione
Esistono parole intraducibili che rischiano di perdersi, fra le lingue in via di estinzione. Solo in Europa, per alcune, sono rimasti meno di dieci parlanti: è il caso del Karaim, di cui ne rimangono solo 6, e poi del Sami di Ter, che ne ha 8, e del Corfiota italiano, parlato come prima lingua soltanto da 10 persone. Lingue svedesi, greche, italiane, che di generazione in generazione vedono sempre più lontana l’opportunità di conservarsi, e potrebbero portare con sé, se non salvate o studiate approfonditamente, segreti e unicità che andrebbero perduti.
Nel mondo la situazione non è migliore. La Siberia, l’Australia del nord e l’area nordovest del Pacifico nell’America del nord sono le zone con più lingue che potrebbero non arrivare alla prossima generazione, bacini di culture quasi sconosciute e lingue molto elaborate.
In Messico, infine, l’Ayapaneco sta morendo in agonia, poiché gli unici due suoi locutori rifiutano di parlarsi a causa di un litigio, e l’unico che sta cercando in tutti i modi di riappacificarli è uno studente universitario, che ha l’intenzione di registrare i loro futuri discorsi per lasciare una traccia di tale idioma.
Cosa possiamo fare?
Questi sono solo alcuni esempi scelti a caso fra le migliaia di lingue in via d’estinzione. Il nostro compito, in quanto studiosi o appassionati, dovrebbe essere tutelarne la diversità. Un giovane in più che si interessa a una lingua che va scomparendo, se armato di un registratore, è un salvagente che può salvarne l’esistenza dall’oblio. Anche solo il convincere persone madrelingua a comunicare fra loro, pur senza comprendere, può lasciare una traccia indelebile.
Anche se il mondo globalizzato sostiene sia un’utopia il sognare un mondo che parli tutto la stessa lingua, non bisogna cedere ai vantaggi di un’idea così grigia e totalitaria.
Insieme alle lingue di popolazioni indigene, hindi, aborigene, eschimesi e asiatiche, un giorno potrebbe esserci un nostro dialetto. E, per un italiano, doversi scontrare con l’impossibilità di esprimere alcuni concetti nel proprio dialetto significherebbe doversi ridurre, a volte, al silenzio.
E, in questo senso, il silenzio sarebbe una morte.
Davide Pascarella