Le Quattro Giornate di Napoli sono state un evento unico nel panorama italiano. Una città intera si solleva e combatte contro l’invasore che la vuole distruggere. Eppure c’è chi ancora si ostina a considerarla poco più di una bega tra ragazzini. Noi de La Cooltura vi vogliamo dimostrare che questi detrattori si sbagliano.
Detrattori: Erra e Battaglia
Enzo Erra ha scritto un libro, Le Quattro Giornate che non ci furono, abbastanza chiaro nel suo intento. A parte il fatto che bisognerebbe sempre prendere con le pinze quello che affermano i giornalisti che pensano di scrivere di Storia, Erra porta avanti due tesi:
1) Le Quattro Giornate non sono esistite, non furono neanche Quattro e, proprio a voler essere generosi, ce ne fu soltanto una.
2) Non furono i napoletani a scacciare i tedeschi, ma furono i nazisti a ritirarsi vista l’avanzata alleata.
Mentre sul primo punto si potrebbe anche concordare col signor Erra, in quanto l’evento fu un po’ gonfiato dagli Alleati per invogliare altre città ad imitare Partenope, sul secondo punto c’è da ridire: è vero che i tedeschi stavano preparando la ritirata, ma porre l’accento solo su questo aspetto oscura il fatto che i napoletani combatterono e morirono per impedire che la città venisse stuprata più di quanto già non fosse stata, come si può evincere da questo episodio.
Ma la tradizione negazionista delle Quattro Giornate di Napoli iniziò molto tempo prima, con Roberto Battaglia. Il suo libro, Storia della Resistenza Italiana, pubblicato nel ’53, è l’apripista di una teoria che vuole la Resistenza portata avanti dal Nord come l’unica degna di nota e di essere tramandata.
Il motivo è semplice: porre l’accento sull’impegno dei comunisti nella liberazione dell’Italia, soprattutto considerando che il PCI era stato estromesso dal potere, quindi col doppio intento di riabilitare il comunismo e di criticare tutto ciò che non era comunista.
Quindi, le Quattro Giornate di Napoli, sollevazione popolare non comunista, è diventata una sciocchezza di poco conto.
Battaglia porta avanti la sua tesi con un argomentazione a dir poco ridicola:
Definire le Quattro Giornate di Napoli come un’insurrezione vera e propria è già dire qualcosa di troppo preciso di fronte a un fenomeno che ha tutte le caratteristiche grandiose e indefinibili d’un fenomeno della natura: poiché il termine insurrezione nei tempi moderni presuppone un piano da parte degli insorti, degli obiettivi precisi da raggiungere e già prestabiliti sulla carta, presuppone un comando, una prospettiva di lotta, un successo o una sconfitta. Mentre a Napoli mancano tutti questi elementi […] importante era andare addosso al tedesco, sfogare sull’ultimo oppressore l’ira così a lungo repressa, colpirlo ovunque con tutti i mezzi.
Battaglia non sbaglia a dire che il napoletano sfogò contro il tedesco anni di bombardamenti e soprusi, ma dire che non ci fosse una prospettiva di lotta è un po’ come dire “l’importante è partecipare”, citando Pierre de Coubertin. Qualcuno potrebbe dargli ragione per quanto riguarda la mancanza di un comando, visto che fu uno scoppio improvviso. Ma Battaglia, e chiunque la pensi così, non hanno tenuto conto di una cosa:
Gli abitanti di un quartiere passano metà della vita senza andare in un altro. Il vivere, le abitudine, le idee sono come di paesi diversi; onde fra di loro non si cognoscono. [1]
A Napoli non si formò un comando, ma tanti comandi quanti furono i quartieri. Lo dimostra quello del Vomero presieduto da Tarsia in Curia, e tantissimi altri spuntati a Foria, Avvocata, Chiaia, Materdei (potrebbe essere utile leggere il libro La guerra di mamma, che racconta le gesta di Maddalena Cerasuolo, scritto da sua figlia Gaetana Morgese) e così via.
Il quartiere era la dimensione prediletta per la lotta, un po’ per motivi culturali e sociologici, un po’ perché a volte i quartieri erano isolati: il Vomero, per esempio, non aveva più la funicolare che lo collegava al centro e avventurarsi in strada per raggiungerlo poteva essere pericoloso.
Le Quattro Giornate di Napoli che ci furono
In conclusione, le Quattro Giornate di Napoli sono state un evento gonfiato, sicuramente meno organizzato di tutti gli eventi resistenziali avvenuti nel Nord Italia, ma non bisogna mai dimenticare che Napoli è stata l’unica città italiana a intralciare i piani tedeschi, senza nessun aiuto esterno.
Roberto Leone
Note
1 – Pasquale Villari, citato da C. Petraccone, Napoli dal ‘500 all’800, Napoli, 1974, p. 249
Fonti:
– Battaglia R., Storia della Resistenza italiana, Torino, Einaudi, 1953
– De Jaco A., La città insorge: le quattro giornate di Napoli, Roma, Editori Riuniti, 1956
– Di Tarsia in Curia A., La verità sulle “Quattro Giornate” di Napoli, Napoli, Genovese, 1950
– Erra E., Napoli 1943: Le quattro giornate che non ci furono, Milano, Longanesi, 1993
– Gribaudi G. (a cura di), Terra bruciata: le stragi naziste sul fronte meridionale, Napoli, Ancora del Mediterraneo, 2003