La fotografia, a metà degli anni Settanta, ha subito una contaminazione per quanto riguarda lo stile e il genere. Essa, in crescita già da qualche anno concettualmente, si è rapportata alle altre discipline determinandone la storia e la natura.
Uno degli elementi che ha contribuito a queste contaminazioni è il passaggio dal bianco e nero al colore. Quest’ultimo, in precedenza, è stato spesso rifiutato poiché si pensava fosse volgarmente usato dalla massa. Però, proprio per questa sua caratteristica sociale, la fotografia d’autore ha introdotto il colore all’interno dei propri capolavori. La fotografia ha iniziato così a trovare correlazioni anche con la sociologia, la psicologia, l’urbanistica, l’antropologia e l’economia. Contemporaneamente i musei ed il mercato dell’arte hanno contribuito ad arricchire la storicità della fotografia. Difatti, la ridefinizione dei generi ed il loro intrecciarsi, hanno dato modo a quest’arte di consolidarsi e di raggiungere i vari linguaggi del mondo artistico.
In questo contesto, alla George Easteman House di Rochester, è stata inaugurata la mostra “New Topographics – Photographs of a Man-Altered Landscape”, caratterizzata da un’attenzione ai temi in voga in quel periodo.
“New Topographics – Photographs of a Man-Altered Landscape”
La mostra fotografica, curata da William Jekins ed inaugurata nel 1975, ha rivelato la grande riflessione sviluppatasi intorno al paesaggio urbanizzato. I nove autori delle foto – Henry Wessel Junior, Stephen Shore, Robert Adams, Lewis Baltz, Joe Deal, Bernd e Hilla Becher, Nicholas Nixon, John Schott e Frank Gohlke – hanno prestato attenzione al paesaggio naturale e all’intervento dell’uomo su di esso. Alla “New Topographics” ciò che hanno fatto trapelare dai loro lavori è l’invadenza dell’essere umano che sottovaluta il rapporto uomo/natura presente negli anni precedenti. In questo modo, i nove fotografi hanno segnato la fine di un concetto ben differente portato avanti da Ansel Adams ed Edward Weston: la natura non è più una potenza incontaminata. Anche la scelta linguistica è stata fondamentale. Difatti, a predominare era il bianco e nero per marcare l’oggettività della fotografia. La serialità è stata un’altra caratteristica fondamentale: svalutando la singola immagine, si evita l’dea del sublime e si rafforza, invece, la progettualità del lavoro. Infine, le inquadtrature frontali e le geometrie presenti sottolineano un ulteriore distacco. Dunque, la “New Topographics – Photographs of a Man-Altered Landscape” è stata una delle tante dimostrazioni della contaminazione artistica degli anni Settanta.
La figura di Robert Adams
Robert Adams, nato nel 1937, è il fotografo che ha dimostrato di avere un profilo molto più articolato degli altri otto artisti. Infatti, dai soggetti fa trapelare una partecipazione emotiva che fa da contraltare al modo di vedere la fotografia nella “New Topographics”. Col passare del tempo, si può notare come l’emotività, portata all’esasperazione dallo stesso fotografo, si sia trasformata facendo divenire il fulcro delle sue opere una ricerca della bellezza. Una delle serie più significative realizzate è stata “What We Bought: The New World”: 193 fotografie realizzate tra il 1970 ed il 974 in Colorado. Non a caso, alla mostra “New Topographics – Photographs of a Man-Altered Landscape” Adams è l’artista che ha avuto più successo. È proprio qui che Robert Adams, attraverso ironia e nostalgia, ha evidenziato i paradossi generati dall’uomo e l’urbanizzazione. In merito a ciò, egli ha infatti affermato:
“Le immagini registrano cosa abbiamo acquistato, cosa abbiamo pagato, e cosa non abbiamo potuto comprare. Documentano una separazione da noi stessi e dal mondo naturale che professavamo di amare”.
Ilaria Cozzolino
Fonti
Bibliografia: Una storia della fotografia del XX e del XXI secolo a cura di Walter Guadagnini.
Sito: Yale University Art Gallery; Fotologie
Immagini: Google