Palazzo Donn’Anna è uno dei simboli della città partenopea che si erge sul tratto di costa all’inizio di via Posillipo (Via Posillipo è un’importante strada di Napoli che si snoda in dolci tornanti per quasi 4 chilometri sul lato meridionale della collina di Posillipo. Parte da Largo Sermoneta a Mergellina, e giunge fino alla discesa di via Caroglio. La strada fu fatta costruire da Gioacchino Murat all’ingegnere Romualdo De Tommaso e dall’ingegnere Giuseppe Giordano a partire dal 1812 e fu completata fino a Coroglio da Ferdinando II delle Due Sicilie tra il 1830 e il 1840).
Palazzo Donn’Anna
Il palazzo fu edificato alla fine del XVII secolo, in tufo e rimasto incompleto, su un precedente edificio detto La Serena, il quale era di proprietà di un certo Dragonetto Bonifacio. Nel 1571 passò alla famiglia Ravaschieri, questi ultimi vendettero il palazzo al principe Luigi Carafa di Stigliano, nonchè nonno di Donn’Anna Carafa, dalla quale poi prende nome lo stesso edificio.
Donn’Anna, figlia di Luigi ed Elena Aldobrandini, era la moglie del vicerè Ramiro Nùnez de Guzman duca di Medina de las Torres che, divenuto vicerè di Castiglia, fu richiamato in patria nel 1644 lasciando così la consorte da sola nella dimora di Portici, dove morì all’età di trent’anni in solitudine il 24 ottobre 1645.
Nel 1642 il vicerè Ramiro Nùnez de Guzman, in occasione delle nozze con la principessa Anna Carafa, diede incarico all’ormai noto architetto Cosimo Fanzago, architetto, scultore e protagonista indiscusso dell’arte barocca napoletana, di costruire il palazzo. Costruito su base rettangolare, ha una base in tufo che poggia sulla roccia dello scoglio, mentre il resto della facciata presenta finestroni e nicchie. Attraverso un portone aperto sul mare si poteva passare all’interno attraverso una scala, mentre le carrozze entravano dalla strada direttamente in un cortile; il secondo piano del palazzo, invece, doveva essere decorato con delle statue.
Dopo essere stato saccheggiato nel 1647 a seguito della rivolta di Masaniello, palazzo Donn’Anna passò nelle mani di Nicola Guzman (figlio dello stesso vicerè e della principessa Anna Carafa) che lo fece restaurare ed innalzare di tre piani; in questo periodo palazzo Donn’Anna diventò teatro di feste e ricevimenti a cui partecipava gran parte dell’alta società napoletana. Tuttavia nel 1688 l’edificio venne distrutto dal terremoto che provocò anche la morte del proprietario. Dopo questo tragico evento, l’edificio passò prima al fisco e poi ad un altro membro della famiglia Carafa che lo vendette al marchese di Calistri, don Carlo Minelli.
Agli inizi dell’Ottocento, sotto il regno di Ferdinando IV di Borbone, subì ulteriori trasformazioni, infatti per ampliare la strada di Posillipo fu ridimensionata la facciata di palazzo Donn’Anna; nel 1824 divenne una fabbrica di cristalli, fu poi acquistato dalla Banca d’Italia, dalla famiglia Capece Minutolo, poi dai Colonna di Paliano, oggi, invece, è diviso tra più proprietari.
La leggenda
Nel suo libro Leggende napoletane, la scrittrice Matilde Serao (scrittrice e giornalista, prima donna ad aver fondato e diretto un quotidiano, Il Mattino) lo descriveva così:
“Il bigio palazzo si erge nel mare. Non è diroccato, ma non fu mai finito: non cade, non cadrà, poichè la forte brezza marina solidifica ed imbruna le muraglie, poichè l’onda del mare non è perfida come quella dei laghi e dei fiumi, assalta ma non corrode. Le finestre alte, larghe, senza vetri, rassomigliano ad occhi senza pensiero; nei portoni dove sono scomparsi gli scalini della soglia, entra scherzando e ridendo il flutto azzurro, incrosta sulla pietra le sue conchiglie, mette l’arena nei cortili, lasciandovi la verde e lucida piantagione delle alghe. Di notte il palazzo diventa nero, intensamente nero; si serena il cielo sul suo capo, rifulgono le alte e bellissime stelle, fosforeggia il mare di Posillipo, dalle ville nei boschetti escono canti malinconici d’amore e le malinconiche note del mandolino: il palazzo rimane cupo e sotto le sue volte fragoreggia l’onda marina..”
Donn’Anna Carafa viene confusa con la regina Giovanna d’Angiò la quale, secondo la tradizione popolare, avrebbe incontrato all’interno del palazzo alcuni pescatori, suoi amanti, con i quali trascorreva notti di passione, per poi ammazzarli all’alba facendoli precipitare dal palazzo. La leggenda vuole che le anime dei suoi amanti si aggirino ancora oggi nei sotterranei del palazzo.
Anna Cuomo