Trovandosi di fronte al monastero della Santissima Trinità si ha l’impressione che il tempo si sia fermato. Nel sereno paesaggio della Valle Metelliana, a Cava de’ Tirreni in provincia di Salerno, si trova un po’ di Francia.
Il complesso di Cava de’ Tirreni, immerso nella macchia mediterranea, nasce dall’impegno spirituale e diplomatico di Alferio Pappacarbone. Nobile salernitano e consigliere di Guaimario III principe di Salerno, nel 1003-1004 fu inviato a svolgere una delicata missione diplomatica in Francia. Qui ebbe modo di sostare presso l’Abbazia di Cluny. Alferio, conosciuto il modus vivendi benedettino , tornò in Italia e depose le velleità politiche.
Il redento rinunciò a tutti i suoi beni e si ritirò nel 1011 nella grotta Arsicia di Cava de’ Tirreni per vivere di preghiera in solitudine. Alferio abbracciò la regola benedettina Ora et labora, in poco tempo si sparse la voce della sua santità. Nel 1025 i principi di Salerno Guaimario III con suo figlio, gli concessero la proprietà assoluta della grotta Arsicia e del territorio limitrofo.
Ciò che il pellegrino ha di fronte è frutto di un lavoro di interventi millenario. L’abbazia, di cui Alferio fu abate, ha festeggiato il millennio nel 2011 e nel 2014 sono state avviate le pratiche per il suo riconoscimento quale patrimonio dell’UNESCO. Da principio il monastero era di esigue dimensioni ma Pietro I, nipote di Alferio, si occupò del suo ampliamento e della fondazione dell’ORDO CAVENSIS, congregazione monastica con a capo l’Abbazia e gravitanti intorno i centri religiosi dell’Italia meridionale.
Struttura e storia del monastero di Cava de’ Tirreni
La costruzione del monastero sorge su una basilica preesistente risalente al I secolo d. C., i cui resti sono visibili nella zona adibita ad ospitare le catacombe. Il monastero si estende per 10 km ed è costituito da: la Basilica, le cappelle dell’antica basilica, il Chiostro, la sala del Capitolo, la Sala dei bassorilievi, il cimitero longobardo.
Nel 1756 l’abate D. Giulio de Palma provvide alla costruzione della nuova chiesa a tre navate, in cui ancora oggi viene officiata la celebrazione eucaristica, insieme al seminario e al noviziato.
Proprio nella navata destra della chiesa, si conserva un ambone cosmatesco del XII secolo caratterizzato frontalmente da due leoni palafrenieri e da colonne tortili su plinti marmorei.
Sul modello della spiritualità cluniacense si conforma l’abbazia cavese: vita contemplativa, silenzio e umiltà. Le fonti raccontano che i benedettini di Cava erano estremamente generosi e clementi nei confronti dei poveri e degli infermi, occupandosi allo stesso tempo anche della gestione finanziaria del monastero. Potere temporale e spirituale sono elementi inscindibili. La Badia fu oggetto di numerose donazioni da parte dei principi e fondatori attraverso ricchezze e concessioni di ogni tipo. Esente da ogni imposta fiscale e libera di poter scegliere gli abati, nel 1394 per interessamento di papa Bonifacio IX la chiesa abbaziale fu elevata a cattedrale cittadina e il monastero divenne diocesi autonoma subordinata solo a Roma.
L’egemonia economica del monastero si traduceva nel controllo dei territori circostanti stipulando il contratto ad complantandum, attraverso il quale venivano ceduti a braccianti temporaneamente un terreno, i cui frutti dovevano essere equamente divisi con i monaci. Da principio il seguente patto agrario arrecò vantaggi al monastero. Tuttavia l’opulenza del complesso fu messa in discussione allorquando i contadini, a causa dell’asperità delle strade, non riuscivano a trasportare i prodotti e i prezzi venivano stimati in denaro in modo sommario, a tutto vantaggio dei braccianti. La situazione si aggravò ulteriormente nel momento in cui la gestione dell’abbazia fu affidata ad abati commendatari. Essi, non risiedendo nel monastero, non riuscivano ad occuparsi delle reali esigenze di una struttura così ampia. Si corse ai ripari. L’abbazia cavese fu aggregata alla Fondazione di Santa Giustina di Padova, perdendo autonomia e splendore. La via del riscatto è molto lunga. Solo nel 1818 in seguito alla bolla papale di Pio VII il monastero fu unito aeque principaliter alla diocesi di Sarno. In seguito alla soppressione degli ordini religiosi per volere di Napoleone, i benedettini dovettero affrontare altre difficoltà. La maggior parte dei benedettini fuggirono e i pochi rimasti si occuparono dell’incremento della biblioteca, fiore all’occhiello dell’abbazia. Nel 1873 fu pubblicato il codex diplomaticus cavensis che consta di otto volumi pergamenacei in cui si raccolgono tutti i documenti diplomatici del principato longobardo di Salerno.
Cava de’ Tirreni fu un centro culturalmente vivace, vi lavorò anche Tino di Camaino (Siena 1285- Napoli 1337). L’artista chiamato dall’abate e dal consigliere reale Filippo de Haya realizzò per l’abbazia varie sculture di santi e scene cristologiche poste all’inizio nelle cappelle e in seguito a variazioni in epoca barocca furono spostare in due altari presso il chiostro.
Sin dal principio, le strade dell’abbazia di Cava sono state battute da uomini eccellenti che hanno decretato il suo destino di miniera d’arte e cultura a cielo aperto.
Serena Raimondi