A rivelarlo è lo studio presentato al Congresso sui Tumori di Vienna e pubblicato sul New England journal of medicine. L’indagine ha seguito la salute sino ai tre anni di eta’ di 129 piccoli, nati da mamme che avevano subito trattamenti con diversi agenti chemioterapici negli ultimi sei mesi di gravidanza.
“Non abbiamo individuato alcuna differenza tra lo sviluppo cognitivo e cardiologico dei bambini nati da madri sotto chemio e altri di un gruppo di controllo, venuti alla luce da mamme sane”, ha spiegato Frederic Amant, l’autore principale della ricerca condotta all’università Cattolica di Leuven in Belgio.
Si presentano quindi nuove speranze per le donne incinte affette da neoplasie, le quali in passato erano costrette a drammatiche scelte, ovvero se abortire o partorire prematuramente.
La ricerca è ovviamente ancora in fase sperimentale, dato che i casi esaminati sono stati 129, quindi è stato preso in analisi un campione di persone limitato. Nonostante ciò la scoperta che la chemioterapia negli ultimi due trimestri di gravidanza non danneggia i feti è diventata una vera e propria sorpresa, in quanto sappiamo che le sostanze chemioterapiche sono tossiche e in molti casi attraversano la barriera della placenta.
Chemioterapia: cos’è?
Il termine chemioterapia indica un trattamento a base di sostanze chimiche. Nel linguaggio comune questa parola viene immediatamente associata ad un trattamento antitumorale, anche se per essere precisi in quel caso si parla di chemioterapia antineoplastica, che si differenzia dalla chemioterapia antibatterica e antivirale.
La chemioterapia antineoplastica si basa sul presupposto che le cellule tumorali proliferano molto più attivamente rispetto a quelle sane. Nell’organismo infatti, attraverso questo trattamento, vengono immesse sostanze che interferiscono con i meccanismi coinvolti nella replicazione delle cellule, uccidendole durante questo processo (azione citotossica). Questo spiega anche il perché un paziente sottoposto a chemioterapia antineoplastica è soggetto a perdita di capelli (peli in generale), ad infezioni alla mucosa buccale e intestinale e ad anemia. Le cellule dei bulbi piliferi, del sangue e delle mucose sono infatti soggette a rapida proliferazione.
Una delle sostanze più utilizzate nella chemioterapia è il cisplatino, molecola in grado di interferire con il ciclo cellulare in maniera non specifica. Questa molecola va infatti a legarsi con l’azoto in posizione 7 della guanina, ma può effettuare anche un legame covalente con l’azoto 3 della citosina e all’azoto 1 e 3 dell’adenina, bloccando quindi il ciclo cellulare.
Queste conseguenze, a volte, preoccupano più della malattia stessa. È importante tuttavia sottolineare che, a fronte di questi disturbi, talvolta rilevanti, la chemioterapia ha il merito di aver ribaltato la prognosi di chi è colpito da alcune forme di cancro, per esempio le leucemie infantili, il linfoma di Hodkin e il tumore del testicolo, che oggi in un’altissima percentuale di casi giungono a completa guarigione.
Christian Nardelli