Esilio e letteratura. Il Cile di Pablo Neruda

In un articolo precedente si è visto come in Spagna la dittatura di Franco abbia spinto i poeti della generazione del ’27 ad abbandonare la patria a causa dei loro ideali pacifisti ed antitotalitari. Non si è però accennato al fatto che questi poeti fossero a stretto contatto con artisti e letterati dell’America latina, con i quali vi erano spesso delle vere e proprie corrispondenze. Tra i vari nomi, uno su tutti spicca: quello di Pablo Neruda, voce del Cile.

La vita di un militante

Cile
Pablo Neruda (1904 – 1973)

Perché, beneamata, è l’uomo che canta quello che muore morendo senza morte
quando già non toccarono le sue braccia le originarie tormente,
quando già non bruciarono i suoi occhi gli intermittenti conflitti natali
o quando la patria sfuggente negò all’esiliato la sua coppa di amore e di asprezza
non muore e se muore quello che canta, e patisce morendo e vivendo quello che canta.

(Pablo Neruda – L’esilio)

Originario del Cile e divenuto uno dei simboli della poesia d’amore, Pablo Neruda è anche conosciuto per la sua militanza politica. Nel 1933 si trova in Spagna e qui conosce sia Federico Garcìa Lorca che Rafael Alberti. Durante la guerra civile spagnola si schiera con la repubblica e per questo gli viene revocato il grado di console cileno, che aveva ottenuto nel 1927.

Nel 1945 entra tra le file del partito comunista cileno e sostiene l’elezione a presidente del candidato radicale Gabriel Gonzàlez Videla. Ma quando inizia la fase autoritaria del suo governo (che porterà alla sua dittatura) Neruda pronuncierà, il 6 gennaio del 1948, un discorso davanti al senato cileno in cui accusò il neodittatore di aver imprigionato in carceri militari alcuni minatori in sciopero nella regione di Bio Bìo. Questo atto di coraggio lo scontò, ovviamente, con l’esilio.

Per Neruda inizia un lungo viaggio che lo porta in varie tappe. Prima nell’Unione Sovietica, poi in Cina poi in India. Nel 1952 troverà rifugio nell’isola di Capri, anno in cui termina la dittatura di Videla. Così Neruda verrà richiamato in Cile da Salvador Allende, nuovo rappresentate del partito comunista cileno il quale chiede il sostegno dell’intellettuale per legittimare la sua candidatura a presidente del Cile. Allende verrà eletto solo nel 1970 e l’anno successivo Neruda vincerà il premio Nobel per la letteratura. Ma l’11 settembre del 1973 l’esperienza democratica di Allende verrà spazzata via dal golpe militare di Augusto Pinochet, e l’intellettuale morirà a Santiago 12 giorni dopo per cause naturali (ma c’è chi non esclude che gli sia stata fatta un’iniezione letale).

Pablo Neruda. Poeta per la dignità del Cile

Come Rafael Alberti anche Pablo Neruda, all’indomani della sua fuga dal Cile, esprime la sua vicinanza ai cileni soffocati dal regime totalitario di Videla, e non si risparmia nell’accusare colui che ha tradito i pilastri della democrazia. Videla è il bersaglio di alcune poesie circolate clandestinamente in Cile nel 1948, l’anno di inizio del regime.

Del fondo amaro della miniera
fino al campo dell’agricoltore
in un grido che non finisce
IL POPOLO TI CHIAMA TRADITORE

Alza il lavoratore della pampa la fronte
coperta di polvere e sudore
ed alto ti grida raucamente
IL POPOLO TI CHIAMA TRADITORE

Il colonizzatore sloggiato
qualcosa ti dice nel suo dolore
egli stette prima al tuo fianco
IL POPOLO TI CHIAMA TRADITORE

Piange la donna del minatore
e la sua cella di orrore
si accusa come carceriere
IL POPOLO TI CHIAMA TRADITORE

(…)

Cile
Manifesto elettorale dell’ex candidato del partito radicale Gabriel Gonzàles Videla (1898 – 1980). Il testo in alto recita “La speranza di un popolo

Neruda non ha alcun timore ad accusare colui che un tempo seguiva i suoi stessi ideali e che ora ha deciso di rinnegarli. Gli dà del traditore (traitor, in lingua originale), lo accusa di aver gettato il Cile in un clima di paura e terrore. Ma, come l’Alberti de Di cosa cantano i poeti andalusi, Neruda non perde la speranza nel domani ed è conscio del fatto che la sua terra troverà la forza di rialzarsi e di rivedere la luce.

(…)

Ma della nostra terra intera
sale un altezzoso splendore.
Già ritornerà la primavera
IL POPOLO TI CHIAMA TRADITORE

Già ritornerà la primavera.
Seppelliremo il dolore
che causasti alla patria intera
ed in quell’ora giustiziera
il paese alzerà la sua bandiera
TRADITORE, TRADITORE, TRADITORE

Neruda però non colpisce solo Videla (che arriva anche ad appellarlo come “escrementissimo signor Videla”), ma anche i suoi più stretti collaboratori. Ecco cosa scrive riguardo ad uno di essi, Francisco Bulnes Correa.

Se tra gli asini un concorso avesse
essi nel suo recinto e nel suo decoro
cercherebbero un asino che esibisse
l’asino in ognuno dei suoi pori.

Asino di lingua, asino di cervello,
asino di selezione, asino tesoro
asino che ancora più asino diventasse
benché questo asino si caricasse di oro.

Per quanto sembrasse insensato
questo asino fu contrario ed eletto
come l’asino più asino fino ad oggi trovato.

Quindi comprò una poltrona questo asino ricco.
Francisco Bulnes è questo asino:
sentitelo ragliare nel Senato!

L’esilio nell’isola di Capri

Cile
I “faraglioni” dell’isola di Capri

Il nome di Neruda è tuttavia legato anche ad una delle tappe che il poeta toccò durante il suo esilio, l’isola di Capri. Vi arriva nel 1952, quando l’amico Edwin Cerio gli mette a disposizione una villa in cui rifugiarsi. Porta con sé anche la sua terza compagna, Matilde Urrutia, e anni dopo il poeta dedicherà alcune sentite poesie all’isola dei faraglioni.

L’isola sostiene nel suo centro
l’anima come una moneta,
che il tempo e il vento pulirono
lasciandola pura come mandorla
intatta e agreste
tagliata nella pelle dello zaffiro
e lì il nostro amore
fu la torre invisibile che trema nel fumo,
il mondo vuoto fermò la sua coda stellata
e la rete con i pesci del cielo,
perché gli amanti di Capri
chiusero gli occhi
e un rauco lampo conficcò
nel fischiante circuito marino,
la paura che fuggì
dissanguandosi e ferita a morte,
come la minaccia di un pesce spaventoso
per improvviso arpione sconfitto:
e poi nel miele oceanico
naviga la statua di prua, nuda, presa al laccio
dall’incitante ciclone maschile.

Comparsa per la prima volta nella raccolta La barcaiola del 1968, Gli amanti di Capri rappresenta una nuova fase dell’esilio di Neruda. Sono lontani i furori della lotta alla resistenza per il Cile (a cui comunque non rinuncia). Ora il poeta non può che perdersi nell’incanto dell’isola di Capri, nelle suggestioni romantiche che questa gli ispira. L’amore è adesso l’unica cosa che può dare luce quando il mondo mostra il suo volto più feroce.

Neruda, però, terminerà la sua vita proprio quando il mondo gli mostrerà tale volto. Scomparirà, infatti, nel suo amato Cile nel 1973, quando il generale Pinochet avrà dato da poco inizio ad un nuovo regime dittatoriale che cercherà di cancellare non solo la memoria di uno degli intellettuali e poeti più conosciuti al mondo, ma anche la forza e la volontà che permettono ad un popolo di rovesciare il potere dei grandi.

Ciro Gianluigi Barbato

Fonti

La barcaiola (1968)