La nuova frontiera della scienza arriva in medicina ed è quella del trapianto di testa: la Cina, nel 2017, effettuerà questo tipo di intervento su un paziente affetto da sindrome di Werdnig-Hoffmann, che lo costringe su una sedia a rotelle. Al di là dell’innovazione e della tecnica, proviamo a soffermarci su ciò che psicologicamente può accadere in seguito ad un trapianto di questo genere.
La medicina psicosomatica è fondata sul concetto di sincronia fra mente e corpo: il benessere fisico deriva da quello psichico e viceversa. Il «fantascientifico» trapianto– così definito da alcuni medici- prevederà l’unione della testa di un paziente paraplegico ad un corpo di un paziente clinicamente morto, con la conseguente fusione del midollo spinale. Ma la combinazione di due parti completamente estranee fra loro permetterà di raggiungere la mens sana in corpore sano?
Trapianto ed identità.
La formazione dell’identità personale avviene fin da bambini attraverso la visione della propria immagine allo specchio: quindi, al contrario di ciò che credono i più, l’identità è caratterizzata anche dalla consapevolezza del proprio corpo. Proviamo a chiarire le tappe della formazione dell’identità attraverso gli studi dei più grandi psicologi dell’età evolutiva.
Una teoria, già presentata in un precedente articolo, è quella del medico viennese Sigmud Freud, il quale si è interessato dello sviluppo psico-sessuale utilizzando il concetto di Complesso di Edipo per spiegare la formazione dell’identità di genere. Per quanto riguarda lo sviluppo cognitivo, uno degli studi di maggior importanza è quello di Jean Piaget. Secondo lo psicologo svizzero, la dimensione cognitiva di ogni essere umano si sviluppa, a partire dall’infanzia, in diversi stadi: in particolare la prima conoscenza avviene nel periodo senso-motorio, espressione coniata dallo stesso Piaget. In questa fase il bambino fa esperienza del mondo intorno a sé attraverso i sensi e il movimento e percepisce il proprio corpo tramite uno stadio intermedio definito delle “reazioni circolari primarie” nel quale ogni attività svolta ha inizio e fine nel corpo (come l’azione di succhiarsi il pollice). Anche durante il contatto tra mamma e figlio quest’ultimo scopre di avere un corpo: la mamma, accarezzando il bambino, dà forma a ciò che egli vede riuscendo ad identificare immagine e fisico. Durante l’infanzia si costruisce quindi il primo tassello dell’identità personale.
Anche lo psicoanalista Erik Erikson ha affrontato questo tema, analizzandolo nell’età adolescenziale: in questo periodo della vita non si parla tanto di formazione ma di definizione di quell’identità che si è creata durante l’infanzia. Non a caso il primo cambiamento, durante l’adolescenza, è di tipo corporeo. Secondo Erikson, il giovane adolescente deve riuscire a unificare in una sola idea tutti i cambiamenti (in primis il corpo, insieme alla mente e al mondo che lo circonda) e arrivare alla consapevolezza che l’identità è stabile poiché consente di distinguersi e al tempo stesso flessibile nel momento in cui consente di cambiare alcuni tratti.
Cosa collega l’identità personale alla nuova scienza del trapianto di testa? Come accennato prima, la vera essenza dell’essere umano è sicuramente mentale, ma anche collegata all’aspetto corporeo. In un intervento così drastico come quello del trapianto di testa, ciò che potrebbe essere leso è l’accordo mente-corpo; quell’identità creata nell’arco di una vita potrebbe essere sgretolata attraverso la visione di un aspetto non proprio.
Frammentazione dell’essere umano.
Spesso in seguito ad un trapianto d’organo si riscontrano cambiamenti dal punto di vista psicologico: l’operazione può essere andata nel migliore dei modi, eppure il paziente percepisce un cambiamento collegato all’organo trapiantato, come se una parte del donatore esistesse dopo l’intervento nella vita del ricevente.
I trapianti d’organo posso diventare, dunque, interventi chirurgici dagli importanti risvolti psicologici. Quanto più l’organo è simbolicamente importante, tante più fantasie psicologicamente rilevanti esso porta con sé, con notevoli ricadute sulla prognosi[1]
A questo punto, immaginiamo un uomo che subisce un trapianto di testa: potrebbe sentirsi depersonalizzato, costretto in un corpo non suo, perso nella sua vera essenza.
Sicuramente il trapianto d’organo o di testa sono l’emblema del progresso medico, necessari per una vita migliore, tuttavia questo discorso non può prescindere da un riferimento psicologico: possono anche essere unite due parti del corpo, evocando suggestivamente il mito del mostro di Frankenstein, ma riprendere a pieno l’identità personale è un procedimento decisamente più complesso.
Alessandra Del Prete
Fonti
[1] Cambiamento e identità: un punto di vista psicologico sui trapianti di organo, P.Politi, C.Feri ,F.Barale
Fonti immagini : Google